Vittorio Zucconi, la Repubblica 1/5/2009, 1 maggio 2009
Figlia di un dio povero e frugale, che mai avrebbe sognato di convertire le divinità dei motori nel loro santuario, la nostra bambina di latta arriva nella terra dei ciclopi d´acciaio per cercare di salvarli dalla loro cecità
Figlia di un dio povero e frugale, che mai avrebbe sognato di convertire le divinità dei motori nel loro santuario, la nostra bambina di latta arriva nella terra dei ciclopi d´acciaio per cercare di salvarli dalla loro cecità. Un´eresia, un´impossibilità, una rivoluzione culturale. Immaginare un´"America in 500" oggi sembra ancora assurdo, un ossimoro, come ieri sarebbero stati impensabili un presidente americano nero, un miliardario russo o un banchiere cinese che salva Wall Street. Dunque può accadere. Se il signor Walter Percy Chrysler, che dalle officine di riparazione dei treni in Texas divenne il creatore della terza casa automobilistica americana negli anni ”20, potesse oggi vedere il «topolino rampante», come già l´hanno ribattezzata, la 500, sulle strade americane, penserebbe a uno sketch televisivo, a un giocattolo per bambini viziati. Forse a un cartone animato come quell´eccitabile «Luigi», appunto disegnato in forma di Cinquecento, amabilmente preso in giro nel film disneyano «Cars». L´automobilina che cercherà di rotolare sulle «superhighway» a otto corsie della California, di duellare con i mostruosi tir «18 ruote» è il polo opposto di tutto ciò che siamo abituati a considerare americano, dove il «bigger is better», il più grande è migliore, domina l´identità nazionale. E tutto ciò che è italiano racconta alla cultura popolare di cose belle, eleganti, raffinate, colte, magari delinquenziali, ma parla raramente di eccellenza industriale o ingegneristica. Se il nome della Cinquecento era sopravvissuto nel subconscio anche al disastro commerciale della Fiat negli anni ”70, quando migliaia di acquirenti americani furono abbandonati al loro rugginoso destino a bordo delle «128» e «124 cabrio» senza assistenza, è stato grazie a collezionisti un po´ annoiati, consumisti snob, gli stessi che hanno recuperato il culto della Vespa dimenticato dai tempi di «Vacanze Romane» e Audrey Hepburn. Piaceva ai «car fanatics», alle stelle di Hollywood, ai miliardari viziati come Ralph Lauren della Polo o Jay Leno, il signore dei talk show serali, che le compravano per sazietà delle «solite» Ferrari, Rolls Royce, Porsche o BMW. Si diceva che anche Ayn Rand, l´immigrata russa che divenne la sacerdotessa del liberismo, ne possedesse una, ma in realtà la Rand disse soltanto che ne avrebbe voluta una, come esempio di come l´industria libera sappia rispondere al mercato. Alla delusione per il tradimento della Fiat negli anni ”70 e alla collera per l´abbandono del marchio che aveva sfidato i difetti di qualità per affermarsi nei desideri come l´Alfa Romeo, erano sopravvissute rare «Cinquecento» importate direttamente dall´Europa, perchè qui mai furono vendute ufficialmente, e scambiate sul mercato delle aste di auto classiche, per 15 mila dollari se ben restaurate. «Topolini rampanti» guidati per fare esibizionismo, come la decapottabile rossa del 1957 che il comico più amato d´America, Jerry Seinfeld, porta in giro per le vie di Manhattan, affrontando le mostruose pozzanghere e i patetici freni a tamburo che a volte lo tradiscono, come accadde in un incidente dello scorso anno, concluso da un testacoda. Ammesso che nella 500 si riesca a distinguere la testa dalla coda. Ma alla rinata bambina di lamiera che qui sarà saggiamente venduta senza il «badge» Fiat, soltanto come Cinquecento, come fece la BMW lasciando la Mini Morris al proprio nome, spetta la fatica missionaria di continuare la conversione degli americani al «più piccolo è meglio», che da anni i giapponesi, poi i coreani, poi gli europei con la Mini e la Smart dal modestissimo successo di nicchia, hanno cominciato. Con la benzina arrivata lo scorso anno alla cifra di 70 centesimi al litro, mostruosa per chi ancora si crede una nazione autosufficiente e si illude di avere ancora gigantesche riserve sotto i piedi, la speranza di Marchionne, di chi guiderà il guscio della Chrysler, dei creditori, dei sindacati spremuti e di Barack Obama è che il richiamo del portafoglio si sposi alla seduzione del glamour italiano in quella «city car», una sorta di Prada su gomma. E aiuti gli automobilisti, soprattutto le mamme SUV che circondano le creaturine con corazzate da guerra in Iraq vincere il terrore di sfidare a duello, come nel bel film di Spielberg, i mostri del trasporto commerciale. L´America andrà in 500, anche dopo le lodi concesse dai critici del New York Times e di Popular Mechanics, soltanto se scatterà il passaparola, se la bambina di lamierina diventerà un oggetto insieme di uso e di culto, purchè a prezzi concorrenziali con le efficienti scatolette coreane. Forse non si tornerà più al rispetto che Henry Ford manifestava per la Alfa Romeo, quando invitava a «togliersi il cappello» davanti alle automobili di Arese e la 500 resterà un oggetto di divertimento, un monile da esibire, una «calamita per il sesso», secondo la brutale formula del comico Sasha Cohen in Borat, per rimorchiare signore incuriosite nei parcheggi degli shopping center. Oggetti di sorriso, ma non piu di ridicolo come anche i Simpsons la presero in giro in un episodio. Per adottare la nostra bambina, mentre altri sperabilmente apprezzeranno le sue sorelle maggiori con il marchio ancora amatissimo del biscione, l´America dovrà innamorarsi di lei e perdonarle qualche rumorino e cigolio, saltabeccando su pozzanghere ancora patriotticamente americane, dunque ancora enormi, nelle quali la ridotta lunghezza della 500 non darà quella sensazione di materasso di piuma che gli inguidabili macchinoni americani concedono. Dovrà sgomitare fra le altre tascabili che da tempo sono emigrate negli Stati Uniti, accettando la sfida di un mercato spietato al punto di avere costretto i tirannosauri di Detroit e chiedere aiuto ai velociraptor di Torino. Molto è cambiato dai tempi del marchio Fiat letto come «Fix it again Tony», riparamela ancora Tonino e la bambina, un successo l´ha già ottenuto. Quello di farci ascoltare - sbalorditi - il successore di un presidente chiamato Nixon che esclamò «io me ne strafotto dell´Italia e della lira», ringraziare la Fiat, lodarne il managament e la tecnologia. Trent´anni dopo Tonino, il meccanico dalle unghie nere e dalla tuta ha l´occasione per la sia vendetta. Deve tornare ancora, ma questa volta per riparare l´industria americana.