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 2009  aprile 30 Giovedì calendario

L’ORA DI NUOTO RISERVATO ALLE ISLAMICHE


A volte succede che un sem­plice gesto sia capace di porta­re alla luce in tutta la sua fla­granza questioni cruciali che in tante discussioni teoriche non cessano di apparire farra­ginose e astratte. il caso della decisione – illuminata, buoni­sta, regressiva, ipocrita? – pre­sa dai gestori della piscina Si­loe, di proprietà della Diocesi di Bergamo. I quali hanno sta­bilito che per un’ora, ogni gio­vedì mattina, gli spazi delle lo­ro strutture simil-balneari ver­ranno riservati alle donne isla­miche, per permettere loro di stare al riparo dagli occhi ma­schili, come detta il Corano. De­cisione che, è facile intuirlo, contiene in sé ogni sorta di am­bivalenza: un segno di demo­crazia e tolleranza o, viceversa, il primo sintomo di complicità verso la ghettizzazione? Mai ri­schio di cerchiobottismo fu più comprensibile. Sì, ma. No, però.

Fatto sta che, piaccia o non piaccia, dopo anni di battaglia, una mediatrice culturale tena­ce come Maida Ziarati, irania­na approdata in Italia 17 anni fa dopo aver conseguito una laurea a Londra, ha compiuto un passo importante verso quello che definisce un proget­to di integrazione. D’ora in poi un gruppo di musulmane tuni­sine, marocchine, iraniane, egi­ziane e anche italiane potrà la­sciare a casa eventuali burqini, ma soprattutto abbandonare i vestiti tradizionali, burqa e ve­lo compresi, calzare una bana­le cuffia e nuotare in deshabil­lé nelle compiacenti acque oro­biche messe del centro «Scala di Giacobbe». Che a pensarci bene sin dal nome rappresenta una forma di involontario ecu­menismo, accostando uno dei Padri dell’Ebraismo all’oggetto sacro dall’alto del quale Mao­metto una notte ebbe dagli an­geli guardiani la prima rivela­zione dell’Aldilà, episodio che diede luogo nel Medioevo al fa­moso Libro della Scala.

«All’inizio – dice trionfante Maida Ziaradi – alcune erano titubanti e timorose, qualcuna non aveva mai nuotato prima, altre hanno fatto un notevole sforzo mettendosi a gambe nu­de, qualcuna aveva addirittura il terrore dell’acqua e ora non si perde una sola lezione». Se le cose stanno così, è sicuramen­te una saggia decisione, quella di affidarsi a una maestra di nuoto. La vera preoccupazione delle natanti però – a sentire la signora Ziaradi – sulle pri­me non era tanto quella di riu­scire a stare a galla, ma aveva ragioni ben più radicate: e coin­cideva con il vero e proprio ter­rore che ci fossero nei paraggi telecamere di sorveglianza. E varrà la pena notare che, giu­sto per una coincidenza che po­trà far discutere a piacere i fau­tori come i detrattori della «Si­loe », proprio in questi giorni in Arabia le autorità politiche hanno indetto una crociata contro le palestre femminili private, considerate offensive per il comune senso del pudo­re islamico.

Le voci dei fautori e dei de­trattori che vedono solo il nero o il bianco si sentono già rim­bombare nell’aria. «Così si tor­na indietro, questo non è cer­to un modo per integrare, non dobbiamo legittimare le loro usanze ma fare in modo che ac­colgano le nostre», ha senten­ziato Daniele Belotti, consiglie­re regionale e comunale per la Lega Nord. Altri potrebbero obiettare che in fondo sessan­ta minuti alla settimana non è una gran concessione. Ma si­gnificherebbe ridurre tutto a una faccenda di contabilità. Mentre la questione (ben lun­gi dall’essere una questione di costume nel senso proprio) ha ben altri contorni, che vanno a incrociare concetti molto di­battuti, negli ultimi anni, da fi­losofi, da antropologi e da schiere di politici dei vari fron­ti. Concetti che hanno suffissi ben noti in -zione, -ismo, -an­za e simili: multiculturalismo, pluralismo, integrazione, tolle­ranza, mescolanza, conviven­za, accoglienza, nelle loro più sottili declinazioni, dalla più ingenua e benevola alla più ci­nica.

Ma qui si ricade all’ambiva­lenza iniziale, che si traduce in mille possibili domande desti­nate, forse, a non perdere mai il punto interrogativo. Da una parte: chi può privare gli altri delle proprie abitudini, quan­do queste non vanno a intacca­re serie ragioni di moralità? Piuttosto che attraverso i divie­ti, non è meglio puntare su un’assimilazione lenta e pazien­te? Dall’altra: è realizzabile un’integrazione che prescinda dalla mescolanza? Seguendo il modello «Siloe» non si rischia per caso di costruire una socie­tà ghettizzata e blindata senza ritorno, dove gli ospiti, fingen­do di accogliere le esigenze del­­l’altro, in realtà si mettono al si­curo nei loro bunker etnici? O forse ha ragione Tzvetan Todo­rov quando ricorda che la sal­vezza degli europei è sempre stata la capacità di capire, di es­sere mutevoli ed elastici?