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 2009  aprile 30 Giovedì calendario

WINCHELL, LA SPORCA FORZA DEL GOSSIP


Walter Winchell era il nome con cui Walter Winschel, nato a Harlem nel 1897 e nipote di un rabbino immigrato da Minsk, cominciò a farsi conoscere come artista di cabaret, carriera che tuttavia lasciò presto per dedicarsi al giornalismo. Qui si distinse in un primo momento come critico drammatico, talmente aggressivo che per quattro anni i fratelli Schubert gli vietarono l’ingresso nei loro trenta teatri newyorchesi (lui entrava lo stesso, una volta mascherato da Harpo Marx, e continuava a stroncarne gli spettacoli), e in un secondo momento come columnist mondano, specialità che perfezionò, e anzi, per qualche verso inventò, trovando un tale seguito da diventare uno degli uomini più ascoltati e potenti degli Stati Uniti.
Negli anni trenta e quaranta la sua rubrica usciva contemporaneamente su mille quotidiani; la sua trasmissione radiofonica era l’appuntamento fisso più frequentato della nazione. Cinquanta milioni di americani adulti, quasi metà della popolazione attiva dell’epoca, lo seguivano ogni giorno. Uno dei primi a rendersi conto della sua forza, quando ancora Winchell non si occupava di politica, fu il presidente Roosevelt, che lo fece convocare a Washington e senza bisogno di corromperlo lo sedusse, facendo di lui un ammiratore sfegatato e un inesausto propagandista; e a lui si appoggiò agli albori della propria ascesa J. Edgar Hoover, il capo dell’FBI, che in seguito gli avrebbe spesso passato informazioni in cambio di lodi per il Bureau. Winchell seguì da vicino, per esempio, le indagini che portarono alla cattura del rapitore del figlio di Lindbergh e poi il processo del medesimo, dove la fece da protagonista, sbandierando alla nazione e alla giuria la propria convinzione della colpevolezza di costui.
Molto presto, ossia fin dal 1933, qui addirittura anticipando l’atteggiamento del Presidente, si schierò con tutte le forze contro Hitler e la Germania nazista, e in seguito ebbe un peso decisivo nell’orientare l’atteggiamento degli americani a favore di una guerra che la maggioranza non voleva. Meno gloriosamente, nei primi anni cinquanta sostenne il senatore McCarthy e la sua caccia ai comunisti o presunti tali: ma allora tentava di risalire in sella. A renderlo obsoleto non era stato tanto l’avvento del presidente Truman, che lo aveva giubilato assieme ad altri troppo legati al suo predecessore, quanto quello della televisione, medium al quale non riuscì mai ad adeguarsi.
Gli elementi dell’immenso successo di Winchell erano stati essenzialmente tre. Il primo, l’intuizione che la gente comune era assetata di pettegolezzi sui VIP, prima di lui per tacito accordo della stampa quasi intoccabili. «Se vuoi diventare famoso in fretta,» diceva, «tira un mattone a una persona famosa». Oggi, ovviamente, lo sanno tutti; allora nel suo modo di farlo entrarono in gioco la sua mancanza di scrupoli, la sua abilità di procurarsi le informazioni, la rete di interessi reciproci che presto si creò, non esitando dai ricatti né dalle vendette.
Il secondo elemento fu il suo personalissimo stile, per il quale aveva imparato molto dal sommo giornalista sportivo e cronista di nera Damon Runyon, del quale poi divenne amico: una secchezza telegrafica piena di neologismi beffardi, molti dei quali ancora oggi imitati dai suoi nipotini. I suoi personaggi non si sposavano, erano «welded» («saldati») o «lohengrinned»; non divorziavano, ma facevano «phffft!»; le debuttanti erano «debutramps» («tramp», «mignotta»); la passione, «passion», era «pash».
Il terzo elemento fu la sua sfrontatezza, o, se vogliamo, il suo coraggio: non guardava in faccia a nessuno. Inizialmente e per molto tempo fu detestato dai direttori dei giornali dove scriveva, disgustati dalla sua volgarità ma costretti ad arrendersi davanti all’aumento delle tirature; lo stesso magnate della stampa Hearst, che lo volle e che gli offrì condizioni principesche, lo disprezzava e in più occasioni tentò invano di ridimensionarlo. Persino Hollywood lo corteggiò, mettendolo in due film nella parte di se stesso; piacquero anche quelli.
Animale notturno, Winchell passava le serate seduto a un tavolo riservato dello Stork Club di New York, locale al cui lancio aveva contribuito in modo decisivo, spesso avendo accanto Runyon e talvolta Hemingway, col quale pure ebbe consuetudine. Osservava gli avventori che si affollavano ai tavoli vicini, non di rado nella speranza di essere notati da lui, mentre una processione di personaggi più o meno illustri sfilava a rendergli omaggio. Qualcosa del genere accade nel film di culto Piombo rovente, in cui Burt Lancaster recita un personaggio di crudele columnist basato su di lui - ma il film, del 1957, è in abiti contemporanei (oltre a quella del giornale, il personaggio ha una rubrica televisiva), l’epoca dunque non è quella. Anche lì comunque un aggettivo uscito dalla penna del despota può lanciare una carriera, così come un silenzio o, peggio, una insinuazione, può distruggere una persona.
Oggi quest’uomo ai suoi tempi autorevole come nessun signore dei media lo sarebbe stato mai più è quasi dimenticato, anche se anni addietro (1994) Neal Gabler gli ha dedicato una eccellente biografia. Dal canto suo il cinema ha tentato di resuscitarlo, ma finora con scarsa fortuna. Michael Herr, grande giornalista anche lui, e autore di sceneggiature (Full Metal Jacket per Kubrick), ha scritto su Winchell quello che in gergo si chiama un trattamentone, ossia una sceneggiatura molto raccontata ma già con i dialoghi, che adesso Alet pubblica come fosse un romanzo (trad. Laura Bussotti, intr. Francesco Trento, pp. 190, ࿬ 17.50). Leggerla è quasi come vedere un buon film, ovviamente in bianco e nero, con l’azione che dal fatidico Stork Club si sposta avanti e dietro, lanciando flash sul passato di Winchell goffo ballerino e ambizioso collezionista di pettegolezzi, sui suoi contatti e contrasti con direttori di giornali, gangster, politici, gente di spettacolo, sulla sua vita privata (la paziente moglie, i figli certo non facilitati dall’avere un padre come lui), fino alla decadenza negli anni sessanta, quando Winchell si aggira vecchio e inquieto, non più riconosciuto da nessuno.