Jeffrey D. Sachs, La stampa 29/4/2009, 29 aprile 2009
IL MONDO VA ALLA GUERRA DELL’ACQUA
Molti conflitti sono provocati o esacerbati dalla scarsità di risorse idriche. Dal Ciad al Darfur, al deserto dell’Ogaden in Etiopia, alla Somalia e ai suoi pirati e poi allo Yemen, all’Iraq, al Pakistan e all’Afghanistan, tutti questi conflitti hanno come scenario un vasto arco di terre aride dove la carenza idrica fa saltare i raccolti, fa morire il bestiame e produce miseria e disperazione.
Gruppi estremisti come i Talebani trovano ampie occasioni di reclutamento in queste comunità impoverite. I Governi perdono la loro legittimazione quando non riescono a garantire le esigenze più elementari della loro popolazione: acqua potabile pulita, disponibilità dei prodotti agricoli di base e acqua e foraggio per il bestiame.
I Paesi lacerati da conflitti di solito affrontano queste crisi come affronterebbero qualsiasi altra sfida di carattere politico o militare. Mobilitano gli eserciti, organizzano fazioni politiche, combattono i signori della guerra o cercano di affrontare il problema dell’estremismo religioso.
Ma tutte queste risposte trascurano la sfida di fondo, che consiste nell’aiutare le comunità a soddisfare le esigenze urgenti in termini di acqua, cibo e mezzi di sussistenza. E il risultato è che gli Stati Uniti e l’Europa spesso spendono decine o addirittura centinaia di miliardi di dollari per mandare truppe o bombardieri a sedare rivolte o a colpire "Stati falliti", ma non spendono neanche un decimo o addirittura un centesimo di quella cifra per affrontare le crisi che sono alla base di quei problemi: la carenza idrica e il sottosviluppo.
I problemi idrici non si risolveranno da soli. Al contrario, andranno a peggiorare se non daremo una risposta in quanto comunità globale. Una serie di studi recenti dimostra quanto sia fragile l’equilibrio idrico in molte aree povere e instabili del pianeta. L’Unesco recentemente ha pubblicato The UN World Water Development Report 2009; la Banca mondiale ha pubblicato studi importanti sull’India (India’s Water Economy: Bracing for a Turbulent Future) e sul Pakistan (Pakistan’s Water Economy: Running Dry), e l’Asia Society ha pubblicato una panoramica delle crisi idriche del continente asiatico (Asia’s Next Challenge: Securing the Region’s Water Future).
Tutti questi rapporti raccontano una storia simile. Le risorse idriche sono sempre più a rischio in vaste zone del pianeta, specialmente nella regioni aride. Il rapido incremento della carenza idrica è il risultato della crescita della popolazione, dello sfruttamento eccessivo delle falde acquifere, degli sprechi e dell’inquinamento e degli effetti, enormi e sempre più pesanti, dei cambiamenti climatici.
Le conseguenze sono strazianti: siccità e carestie, perdita di mezzi di sussistenza, diffusione di malattie trasmesse dall’acqua, migrazioni forzate e perfino conflitti aperti. Le soluzioni pratiche si compongono di diversi elementi, tra cui una migliore gestione delle risorse idriche, l’adozione di tecnologie più avanzate per accrescere l’efficienza dell’uso dell’acqua e nuovi investimenti effettuati congiuntamente da Governi, imprese e organizzazioni della società civile.
Soluzioni del genere le ho viste nei "Millennium Villages", nell’Africa rurale, un progetto in cui io e i miei colleghi lavoriamo insieme a comunità povere, Governi e imprese per trovare soluzioni pratiche ai problemi della miseria nelle campagne. In Senegal, ad esempio, la JM Eagle, uno dei principali produttori di condutture del mondo, ha donato più di 100 chilometri di tubature per consentire a una comunità povera, in collaborazione con la Pepam, l’ente di gestione idrica del Governo senegalese, di portare acqua pulita a decine di migliaia di persone. Il progetto complessivo è molto efficiente dal punto di vista dei costi, replicabile e sostenibile, al punto che la JM Eagle e altri partner del settore privato vogliono intraprendere iniziative analoghe in altre zone dell’Africa.
Ma le situazioni di stress idrico in futuro saranno diffuse, e riguarderanno sia Paesi ricchi che Paesi poveri. Gli Stati Uniti, ad esempio, hanno incoraggiato negli ultimi decenni un boom demografico negli aridi Stati del Sud-Ovest, nonostante una carenza idrica che probabilmente si aggraverà a causa dei cambiamenti climatici. Anche l’Australia deve fare i conti con siccità gravi nel cuore agricolo del bacino del Murray-Darling. Anche il bacino mediterraneo, che comprende l’Europa meridionale e il Nordafrica, probabilmente dovrà affrontare seri problemi di inaridimento come conseguenza dei cambiamenti climatici.
Ma l’esatta natura delle crisi idriche varierà a seconda delle zone, con diversi punti di pressione in diverse regioni. Ad esempio il Pakistan, un Paese già arido di suo, subirà la pressione di una popolazione in rapida crescita, passata dai 42 milioni di abitanti del 1950 ai 184 milioni del 2010, e che potrebbe aumentare ancora, secondo lo scenario "medio" tracciato dall’Onu, fino a 335 milioni nel 2050. E la cosa peggiore è che i contadini già ora stanno usando l’acqua delle falde acquifere, in via di esaurimento a causa dello sfruttamento eccessivo. Inoltre, i ghiacciai himalayani che alimentano i fiumi del Pakistan di qui al 2050 potrebbero essersi sciolti a causa del riscaldamento globale.
Si devono trovare soluzioni a tutti i livelli, nel senso che servono soluzioni al problema dell’acqua all’interno delle singole comunità (come nel caso del progetto delle condutture idriche in Senegal), lungo tutto il corso di un fiume (anche quando attraversa i confini nazionali) e a livello globale (ad esempio prevenendo gli effetti più devastanti dei cambiamenti climatici globali). Per arrivare a soluzioni durature servirà una collaborazione tra Governo, imprese e società civile: collaborazioni di questo genere possono essere difficili da negoziare e gestire, perché i vari settori della società spesso non hanno o non hanno quasi esperienza di interazione fra loro e possono nutrire una forte diffidenza reciproca.
La maggior parte dei Governi sono male equipaggiati per affrontare i problemi più gravi legati all’acqua. Nei ministeri per la gestione delle risorse idriche di solito lavorano ingegneri e funzionari pubblici generici. Ma per arrivare a soluzioni durature ai problemi idrici serve un’ampia gamma di competenze in materia di climatologia, ecologia, agronomia, demografia, ingegneria, economia, politica di comunità e culture locali. I funzionari pubblici devono avere anche l’abilità e la flessibilità per lavorare insieme a comunità locali, imprese private, organizzazioni internazionali e potenziali donatori.
Il passo successivo, di cruciale importanza, è mettere insieme esponenti di rilievo del mondo scientifico, politico e imprenditoriale di società accomunate da problemi di carenza idrica - ad esempio Sudan, Pakistan, Stati Uniti, Australia, Spagna e Messico - per ragionare insieme su approcci creativi alla soluzione di questi problemi. Questo consentirebbe di condividere le informazioni e dunque di salvare vite umane ed economie. E metterebbe anche in evidenza una verità fondamentale: la sfida comune dello sviluppo sostenibile deve unire un mondo diviso dalla ricchezza, dalla religione e dalla geografia.