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 2009  aprile 29 Mercoledì calendario

I SUPER-VIRUS CHE INFETTANO ALTRI VIRUS


I manuali lo ripetono: i virus non hanno il privilegio della vita.
Certo, dispongono di un genoma, ma a differenza degli organismi cellulari (dalle piante agli animali, compresi i batteri) sono incapaci di replicarsi al di fuori della cellula che li ospita. Questi «parassiti assoluti», quindi, sarebbero confinati alla condizione di «entità biologiche», come minuscoli mucchi di geni alla ricerca di qualcuno da infettare.
In realtà, non è proprio così. Il primo grande ripensamento risale al 2003. Un gruppo di ricercatori francesi dell’«Unità malattie infettive ed emergenti» del Cnrs descrive su «Science» le caratteristiche di un virus gigantesco, capace di infettare delle amebe e trovato nel sistema di climatizzazione dell’ospedale di Bradford, in Gran Bretagna. Il suo scopritore, l’inglese Tom Rowbotham, l’aveva confuso con un batterio proprio a causa delle dimensioni anomale (all’incirca 1 micron). Di qui il nome: Mimivirus, acronimo di «mimicking microbe virus».
L’antenato comune
Un anno più tardi il sequenziamento del genoma di questa creatura confonde ulteriormente le acque: rivela di possedere oltre un milione di paia di basi, mentre la maggior parte dei virus non ne ha che una decina di migliaia. Non solo il mimivirus è più voluminoso della maggior parte dei batteri, ma il suo genoma - composto da un migliaio di geni - non ha nulla da invidiare ai batteri stessi. Inoltre, possiede anche i 9 geni della famiglia dei grandi virus a Dna, dimostrando così la discendenza da un antenato comune, che dev’essere esistito oltre 3 miliardi di anni fa. La scoperta del Mimivirus, quindi, è così sconcertante che molti biologi sono arrivati a chiedersi come sia potuto comparire un’entità simile.
La metagenomica, che consiste nel sequenziamento massiccio del materiale genetico, produce ulteriori sorprese. «Dopo la sua descrizione abbiamo scoperto che i virus appartenenti alla sua famiglia - i Mimiviridae - sono estremamente abbondanti in natura - spiega Jean-Michel Claverie, ricercatore del Cnrs -. Esiste circa un milione di particelle virali in un millilitro di acqua di mare - e fino a un miliardo vicino alle zone costiere - e circa un terzo di questa massa è molto prossimo al Mimivirus».
I virus giganti, quindi, sono dappertutto o quasi. E sebbene la loro esistenza sia stata pressoché ignorata fino a tempi recenti, la ragione è semplice: «Dalla metà del XIX secolo in poi si sono sempre studiati i virus facendoli passare attraverso filtri appositi, via via più piccoli - spiega Claverie -. I grandi virus, perciò, restavano bloccati insieme con i batteri e non venivano identificati».
Soltanto di recente, all’interno del sistema di climatizzazione delle Halles, a Parigi, il gruppo di Didier Raoul - specializzato nello studio delle patologie emergenti - ha trovato un cugino del virus gigante, battezzato Mamavirus. Ancora più grande del predecessore, la sua sequenza genetica dovrebbe essere pubblicata entro l’anno. Ma c’è anche un’ulteriore scoperta - pubblicata su «Nature» - che semina altri interrogativi e demolisce la vecchia immagine della natura «inerte» dei virus stessi. Con il Mamavirus, infatti, è stato individuato un piccolo virus satellite - chiamato Sputnik - che ha la caratteristica singolare di infettare il «compagno», che a sua volta contagia l’organismo ospite: il tutto come in un gioco di matrioske.
«Quando il Mamavirus infetta una cellula, produce, mentre esprime il proprio genoma, anche una ”fabbrica virale”, che assomiglia molto a un nucleo secondario - sottolinea Claverie -. Il fatto che questo nucleo possa essere a sua volta infettato da un altro virus rivela quanto sia simile al nucleo di una cellula classica!».
«Per troppo tempo i virus sono stati confusi con la singola unità virale, vale a dire il virione», sottolinea il microbiologo dell’Institut Pasteur, Patrick Forterre, evocando la particella che penetra nella cellula per installare il virus propriamente detto e permettergli così di replicarsi. «In effetti è un po’ come se si confondesse l’uomo con i suoi spermatozoi», aggiunge Claverie, che paragona la penetrazione del virione nella cellula a un vero e proprio ciclo sessuale.
Un nuovo schema evolutivo
Un virus infettato da un altro virus, quindi. «E allora, se anche loro si possono ammalare, significa che sono esseri viventi». Ciò che si delinea è un nuovo schema evolutivo. «L’esistenza di Sputnik - commenta Raoult - dimostra che i virus possono essere presi in mezzo tra la preda e il predatore».
I virus, allora, devono essere considerati esseri viventi a tutti gli effetti? Per rispondere, però, bisogna prima risolvere un altro interrogativo: che cos’è la vita? Secondo Raoult, non è una questione astratta. «Si inizia a parlare di vita - dice Forterre - quando compaiono i meccanismi dell’evoluzione darwiniana». E anche i virus sembrano essere sottomessi alle loro leggi.