Giancarlo Dotto, La stampa 29/4/2009, 29 aprile 2009
DISPREZZO IL SESSO E LE MASSE"
I cinquantuno chilometri dall’aeroporto di Catania a Milo bastano appena a Said per testimoniare quanto è bravo, generoso e illuminato l’uomo per cui da quindici anni lavora come autista tuttofare. di Casablanca anche Sanàa, la giovane moglie. Anna è invece un’indigena. Paffuta, allegra e tonda, una cuoca da manuale. a loro tre che Franco Battiato ha affidato la sua esistenza terrena in questa villa nel parco dell’Etna, il suo monastero «dove tutto è bellezza, calma e voluttà».
Da queste parti il sacro è ovunque, Maria, Padre Pio e Sant’Egidio. Contro la montagna che fiata e butta fuoco le donne conoscono un solo metodo, pregare. Ogni tanto piove cenere. Estasi e scosse. Si trema e si gela tutti insieme, nella stessa lava, nella stessa neve e sotto le stesse nuvole. Battiato qui studia, ascolta e medita nella vibrante intesa dei sensi in festa. Le due piscine, l’amaca, il bosco con i pini e le querce. Allunga la mano e trova di tutto, nespole, prugne, ciliegie, melograni, l’albero di fico nato dal nulla, la sua pianta preferita. Niente animali, da quando è morto Clemente, il gatto impallinato dai cacciatori, che forse era stato una lepre in un’altra vita. Battiato è un maniaco dell’ospitalità. E degli orari. All’una in punto, a tavola per il pranzo. Da vegetariano convinto si avventa sullo spaghetto, perché bisogna pur che il corpo esulti. «Questi rossi dell’Etna sono straordinari... Io sono astemio. Il mio corpo rifiuta tutto ciò che è tossico, alcol e fumo inclusi».
Franco Battiato detesta.
«Detesto i politici che smaniano per piacere a tutti. Oggi si vive l’epoca dei leader tribali alla Tamerlano, ignoranti ed egoici. Leggevo un’intervista di Catherine Deneuve. Adoro questa donna per la sua brutalità. Quando dice: ”Piacere a tutti mi fa schifo”».
Condivide?
«Gli applausi non mi piacciono, ma li accetto. Ho un certo disprezzo per le masse. Ti fanno diventare fetente anche se non lo sei».
Le piacciono i fischi?
«Trovo sia un malcostume manifestare il dissenso. Una volta, era il 1980, Dario Fo aspettò che la gente defluisse dal concerto per venirmi a dire: ”Non condivido i tuoi testi”. ”Non m’interessa”, risposi».
Complicato incastrarla in una definizione. Razionalista e spiritualista, scientista e mistico.
«La scienza non è un dogma. Penso a certi cretini patentati. A certo determinismo che ti condanna a partire dai tuoi geni. Io credo a qualcosa di extracorporale che sta in un punto fuori di noi. Ma credo, ancora di più, al libero arbitrio. In un milionesimo di secondo possiamo cambiare la rotta della nostra esistenza».
stato il primo a cantare in Vaticano.
«Non era forse un titano del pensiero Wojtyla, ma mi conquistavano la sua bontà e la sua moralità».
Canterebbe per Ratzinger?
«Lui e i suoi cardinali si comportano da anticristiani. Agevolano il mondano, contro tutti i religiosi che credono alla vita terrena come a un passaggio. Il caso Englaro ci ha anche mostrato senza pietà che con i furiosi lanzichenecchi della politica l’unica soluzione è l’esorcista».
La vita è sacra?
«Solo se rifiuta la dittatura della carne. Mi stupisce un certo attaccamento alla vita. Credo nel passaggio da un’esistenza all’altra. Intanto liberiamoci di questa, se non ne vale più la pena».
«Breve invito a rinviare il suicidio» è il titolo di una sua canzone.
«I monaci tibetani ogni notte capovolgono la loro coppa perché potrebbe essere la loro ultima. L’occidente è pieno di zavorra, di dolori inutili, un fardello di schifezze emotive che ti annienta. Penso alla depressione di Gassman e di Tognazzi. Nella mia ”Stage Door” si dice: ”Sapessi che dolore l’esistenza che vede nero dove nero non ce n’è”».
Come se la cava con la morte dei cari?
«Ero molto legato a mia madre, ma sono rimasto inalterato alla sua morte. Questo lo trovo impagabile. Sarò capace di farlo con la mia morte? Vorrei non avere nessuno accanto quando sarà il momento».
Meditare è l’equivalente dello svuotamento fisiologico. Un clistere spirituale.
«Svuotamento è il vocabolo giusto. Se stai in un bosco e sei vuoto dentro, puoi sentire tutta questa armonia pazzesca. Non hai bisogno d’altro. In quel momento potresti dire arrivederci alla vita senza rimpianto».
I dolori inutili del giovane Battiato.
«Era il regno della paranoia e dei finti malesseri. Una piéce insopportabile. Ho avuto un periodo molto difficile dal ”70 al ”72. Una volta a New York provai un’attrazione fortissima a buttarmi sotto la metro. L’idea del mio corpo che si sfracellava m’inebriava. Un secondo prima di farlo mi afferrai a un palo vicino a me».
Niente incubi nel suo letto?
«Sono uno solare, trovo la notte minacciosa. Avverto presenze ostili. E allora dormo per difendermi».
L’inconscio non basta a spiegarli?
«L’inconscio è zavorra stupida. Fosse per me, il mestiere dello psicoanalista andrebbe in estinzione. L’individuo può e deve risolvere da sé il suo caso».
Il corpo va punito?
«L’ho fatto una sola volta, quando smisi di fumare. Una fatica bestiale perdere sedici chili. Mi facevo schifo. Il corpo è solo una custodia, un fagotto. Mi comporto con lui come un padre. A volte lo assecondo, altre no».
Niente è come sembra.
«Non dovevo fare il cantante. Non mi piace esibirmi. La mia vanità è zero. Cerco di fare bene questo mestiere. Sono cosciente di aver scritto cose belle e cose pessime».
Un esempio del pessimo.
«’La voce del padrone”, tre milioni di copie in tutta Europa. Lo feci per i soldi, aggiunsi molta acqua al mio vino. ”Centro di gravità permanente” è una canzoncina modesta con un buon testo».
Il meglio.
«Le canzoni che incidono sul profondo. ”Stage Door” è un pezzo formidabile. Anche ”L’ombra della luce” è tra le mie preferite».
’La cura”. Perché ha così toccato gli italiani? Mi risultano decine di risvegli dal coma indotti da questa sua canzone.
«Di questo non parlo. Si rischia il macchiettismo. Un giorno Sgalambro, scherzando, mi propose di vendere la canzone alle case farmaceutiche. E’ un pezzo ispirato, per questo arriva alla gente. Ma non è tra le mie preferite».
Questa sua casa sull’Etna s’ispira ai conventi di clausura?
«Ne ho frequentati di conventi e di suore di clausura. Non le dico quali, Ratzinger li farebbe chiudere. Quella è la veranda dove ogni giorno medito. Mi sveglio alle cinque e ascolto musica classica. Alle sei e mezzo mi alzo e inizia l’avventura».
Vedo libri su Haendel ovunque.
«Si chiamerà ”Georg Friedrich Haendel”, sottotitolo ”Viaggio nel regno del ritorno”, il mio nuovo film. Una riflessione sul ”700 che non è mai stato raccontato. Il problema sarà trovare i soldi».
Sesso o castità?
«La castità è fantastica. Ogni volta che sono coinvolto in un progetto artistico, le mie energie sessuali si trasformano in atto creativo. Non sono disponibile ad altro che a questo».
Sublimazione permanente.
«So di questi politici, poveretti, che s’imbottiscono di Viagra. Non avere pulsioni sessuali è una fortuna. Pagherei per questo. La vera prigionia è quando sei schiavo dei sensi».
Lei è un uomo fortunato?
«Purtroppo no, devo farci ancora i conti con la pulsione sessuale, ma non vedo l’ora che arrivi la pace dei sensi».
Talenti della musica di oggi.
«Ascolto solo musica classica. A 64 anni, quando sento alcune arie di Haendel devo fermarmi per la gioia insostenibile che m’ingorga. La musica leggera l’ascolto incidentalmente sul taxi o in tv».
Lucio Dalla e Carmen Consoli hanno casa da queste parti.
«Lucio lo vedo poco. Carmen è un talento sorprendente con un grande cervello. Si sta anche liberando di un certo manierismo».
Tre miti al femminile: Mina, Milva, Vanoni.
«La Vanoni l’ho capita in ritardo, però, quando l’ho capita, l’ho capita davvero. Mina l’ho capita in anticipo. Dopo, da cantante nazionalpopolare l’ho capita meno. Di Milva apprezzo il percorso intellettuale».
Un pezzo di strada assieme a Gaber.
«Ero un ragazzo alle prime armi. Si prese cura di me. Ci siamo divertiti da pazzi nelle balere dell’hinterland milanese. Giocavamo a poker io, lui, Ombretta Colli, Roberto Calasso e Fleur Jaggy. Ci giocavamo i libri dell’Adelphi».
Il suo sodalizio con le donne. Fiorella Mannoia, Elisabetta Sgarbi.
«Fiorella è un talento. Mi piace il suo timbro vocale. Elisabetta è come il mio Etna, in continua eruzione. Siamo affiatatissimi».
Un equivoco necessario l’amore?
«E’ bello conoscere le pene e i piaceri dell’amore, una, due, tre volte, poi basta. Nell’innamoramento ci si annulla nell’altro. Se non sei equilibrato, arriva il dolore e quindi il massacro».
Manlio Sgalambro. Più di un sodalizio.
«Con lui si respira l’aria delle vette. Un giorno eravamo lì che prendevamo una granita. ”Perché non facciamo un disco pop?", mi fa. Venivo dal mio periodo fondamentalista, accettai la sfida. I miei fan si ribellarono. Dovettero ricredersi».