Ettore Livini, la Repubblica 29/4/2009, 29 aprile 2009
QUELLE CENTINAIA DI SCOMMESSE AL BUIO CHE HANNO LEGATO LE MANI A 600 SINDACI
I derivati sottoscritti dagli enti locali sono una valanga di contratti su 35,5 miliardi di debito (il 36% dell´esposizione di regioni, comuni e provincie) di cui nessuno, oggi, è in grado di valutare davvero il potenziale pericolo: alcuni dei pm impegnati sul fronte delle inchieste li considerano una bomba ad orologeria per i conti delle 600 amministrazioni che li hanno sottoscritti, con buchi virtuali nell´ordine dei miliardi di euro (solo il Comune di Milano ha una perdita teorica di 150 milioni). Una cifra in grado di mettere a rischio il rating dell´Italia. Le istituzioni coinvolte invece gettano acqua sul fuoco: «Non c´è nessuna mina-derivati», assicura Leonardo Dominici, sindaco di Firenze e presidente dell´Anci. E a sostegno della sua tesi squaderna uno studio della Corte dei conti che ha passato ai raggi X oltre 21 miliardi di contratti scovando («ma il dato è da verificare», ammettono i giudici contabili) perdite per soli 69 milioni.
Chi ha ragione? Difficile dirlo. Anche perché da quando la Finanziaria del 2001 (firmata da Giulio Tremonti) ha liberalizzato l´uso di questi strumenti per rinegoziare i debiti degli enti locali nessuno è mai riuscito a monitorare il fenomeno. E in otto anni, malgrado un fiorire di correttivi legislativi, i bilanci di diverse amministrazioni si sono gonfiati di prodotti di finanza creativa. Molti «sani» - va detto - altri più rischiosi e dagli effetti contabili imprevedibili. Destinati a emergere solo a scadenza.
«In teoria l´uso dei derivati è neutro», spiega Gregorio De Felice, presidente degli analisti finanziari italiani. Si tratta di contratti che consentono di convertire il tasso sul debito da fisso a variabile o viceversa (molti Comuni nel 2000 pagavano interessi da capogiro). Oppure sono una sorta di polizza d´assicurazione in base a cui un ente locale esposto a tasso variabile (ad esempio) compra un contratto che limita il suo tasso a un tetto massimo, pagando una piccola commissione alla banca che si fa carico dei pagamenti oltre il limite. Il tutto a rischio zero.
Nella pratica però, le cose non sono andate così. Quasi tutte le amministrazioni italiane, a corto di liquidità, sono costrette ogni anno ai salti mortali per far quadrare i bilanci. Così diverse banche (i due terzi estere, dice la Consob) hanno bussato alla porta di sindaci e assessori - spesso a digiuno di finanza - proponendo loro un´occasione imperdibile: l´acquisto di derivati molto più complessi, che a fronte di un potenziale rischio futuro per l´ente garantivano subito l´incasso di contanti con cui sistemare i conti. Poco importa che questi contratti trasformassero l´assicurazione in una spericolata scommessa al buio. Gli amministratori, con il miraggio di incassare subito lasciando il cerino ai successori, hanno firmato. E le banche - grazie al porta a porta del derivato lungo tutto lo stivale - si sono messe in tasca commissioni, i pm dicono anche occulte, da favola.
Questo meccanismo infernale non ha stritolato solo i big. Nella rete sono finiti pure 500 Comuni non capoluogo. Piccole città e paesi di poche migliaia di abitanti che oggi rischiano di vedere sparire nel buco nero della finanza creativa cifre pari a diversi anni di bilancio. L´allarme sul fenomeno è scattato nel 2004. Il governo Prodi ha posto i primi rigidi paletti. E ora lo stesso Tremonti ha «congelato» l´utilizzo di questi contratti negli enti locali per evitare abusi. «Il vero nodo - conclude De Felice - è che l´Italia non sa quanti prodotti e di che tipo sono stati venduti agli enti locali». E finché non si quantificheranno le dimensioni del fenomeno, i derivati rimarranno una piccola-grande bomba ad orologeria nel cuore dei conti pubblici del paese.