Carlo Petrini, la Repubblica 29/4/2009, 29 aprile 2009
IL DECLINO DI QUELLA MACCHINA PERFETTA DAL CONTADINO ALLA CATENA DI MONTAGGIO
Anche quel monumento alla saggia parsimonia, quella macchina perfetta da utilizzare meticolosamente in tutte le sue parti ("Se il maiale volasse non ci sarebbe uccel che lo passasse") non è sfuggita alle leggi sprecone del consumismo. Allevamenti e macelli come catene di montaggio si sono concentrati principalmente su alcuni tagli e anche i gusti della gente li hanno seguiti: oggi il porco industriale è due prosciutti, qualche salame e salsiccia, qualche bistecca, del grasso per ricette da fabbrica.
Un amico, un ottimo macellaio e produttore di salumi, mi ha confessato di macellare 80 maiali a settimana e di avere problemi di smaltimento degli scarti. Non sa come venderli alla gente: eppure dalle mie parti una volta si impazziva per i batsoà, i piedini di porco, il cui nome deriva dal francese bas de soie, "calze di seta", e che lessati in vino, aceto e acqua per tre ore, lasciati riposare per un giorno, poi impanati e fritti, si trasformano in una leccornia. Oppure gli uriùn, le orecchie: stessa poesia gastronomica. sufficiente prender un qualsiasi ricettario regionale italiano per capire qual è stata l´importanza del maiale per la civiltà contadina: ricette con il sangue, il fegato, i polmoni, il muso, il rognone, la milza, le budella, il cuore, il cervello, la pelle, il grasso. La sapienzialità popolare non ha tralasciato nulla, inventandosi centinaia di modi diversi per godere molto e con poco.
A partire dal Medioevo, quando si è intensificato il consumo di carne, il maiale si può dire sia sempre stato il principe dell´economia contadina, l´animale da carne per eccellenza. Una figura di primo piano assoluta, come il porcaro che lo conduceva. Massimo Montanari, medievalista e storico dell´alimentazione, ci ricorda che il magister porcarius era il servo per cui si pagava il prezzo più alto. Il maiale era addirittura l´unità di misura dei boschi, che venivano valutati in base al numero di capi che vi si potevano allevare. Porci nei boschi, liberi di razzolare: certo se ne trovano ancora da qualche parte, ma il grosso della popolazione suina mondiale se la passa nettamente peggio, in stalle che a volte sono più simili a ospedali per animali.
Tuttavia la nostra cultura, e una bella fetta di economia, continua a ruotarvi intorno. Prosciutti, culatelli, salami, zamponi, coppa e pancetta restano il fiore all´occhiello del comparto agro-alimentare nazionale, anche se alla varietà di produzioni non corrisponde più la stessa incredibile biodiversità di razze che popolava i nostri territori. La "maialata" invernale, la festa per l´uccisione del maiale, momento culmine nella stagione fredda per ogni società contadina, trasformata in sagra paesana o evento gastronomico, resiste ancora in molti luoghi che sono stati segnati in maniera indelebile dalla cultura rurale, e dunque dalla cultura del maiale. Il maiale era tutto: miglior riserva di cibo, ricchezza.
Si corre il rischio di sembrare nostalgici a celebrare così il porco e i fasti della sua centralità nelle campagne fino a non più tardi di qualche decennio fa; lo stesso a compiangere il destino un po´ meno glorioso che gli ha riservato il progresso in fatto di tecnologie alimentari. Ma perché non apprezzare il fatto che il maiale era un bel simbolo dell´equilibrio, pur difficile ed estenuante, ma prodigioso, tra uomo e natura? Rappresentava un successo dell´ingegno umano applicato in maniera sostenibile al mondo naturale, che ben incarnava concetti molto attuali come riciclo, riuso, sobrietà, sintonia con le stagioni, approccio sistemico. Tanto che, a ben pensarci, il maiale era proprio un bell´esempio di design. Oggi che il design ragiona fortemente su questi temi invece non lo è più: produce scarti a iosa, inquinamenti da liquami difficili da smaltire, gli animali devono prendere degli antibiotici per poter sopravvivere alle condizioni di allevamento industriale. E si sa: il benessere animale è l´anticamera di quello dell´uomo.
Sarebbe utopia pensare di tornare indietro, quando il maiale per le società rurali era tutto. Anche se nulla vieta di rifare allevamenti allo stato brado, dare agli animali alimenti di maggiore qualità, farli crescere più lentamente, rispettarli di più e utilizzarli meglio una volta macellati, i tempi sono cambiati troppo. E sono tempi molto difficili, però ciò non toglie che per un comparto che era già in crisi prima della sfortunata pubblicità che di questi tempi gli tocca subire una seria riflessione su questi temi non guasterebbe. I sani principi si possono adattare a qualsiasi forma produttiva: la saggezza contadina con il maiale ha realizzato dei veri capolavori di cultura materiale, perché non continuare nel solco di questa tradizione?