Federico Rampini, la Repubblica 29/4/2009, 29 aprile 2009
UN ALTRO SHOCK PER L’ECONOMIA
Le Borse mondiali hanno interrotto il rialzo che era in corso da alcune settimane. Torna la paura e ha una causa nuova: quali conseguenze può avere la febbre suina sull´economia globale? Per ora il bilancio delle vittime e l´estensione del contagio non giustificano catastrofismi, eppure un´ondata di vendite si è abbattuta sui mercati, colpendo per prime le attività economiche legate al turismo come le compagnie aeree. Le piazze asiatiche ieri sono state le più fragili. Per forza: in Estremo Oriente è ancora vivo il ricordo della Sars, un´emergenza sanitaria che nel 2003 per diverse settimane paralizzò settori cruciali degli scambi internazionali. "Se l´influenza suina sarà un´altra Sars – dice il presidente di South China Securities Howard Gorges – l´impatto economico sarà mondiale". A Hong Kong l´allarme ha già svuotato le farmacie di tutte le scorte di medicinali antivirali e mascherine respiratorie. Da Pechino a Shanghai sono tornati in funzione negli aeroporti i sensori elettronici misura-febbre per i passeggeri in arrivo. A Tokyo gli aerei dal Messico sono accolti da squadre mediche. Controlli speciali sui viaggiatori scattano dall´Indonesia all´Australia, dopo il primo contagio accertato in Nuova Zelanda, seguito da casi sospetti in Cina e Corea del Sud. "Può essere il colpo fatale per un mondo già in recessione", dice l´economista Sherman Chan di Moody´s Australia. La Banca mondiale stima che una vera pandemia potrebbe uccidere 70 milioni di persone, e far crollare il Pil mondiale di un altro 5 per cento.
Le foto di Città del Messico con le vie deserte evocano ricordi freschi e dolorosi in Asia. Era l´inizio del 2003 quando le autorità cinesi – dopo mesi di colpevole silenzio – confermarono i focolai della Sars. La "desertificazione" da panico colpì per prima Hong Kong, dove il contagio era arrivato dal vicino Guangdong e le notizie circolavano senza censura. Le multinazionali americane con forti insediamenti in quest´area furono le prime a reagire con misure drastiche. La Intel, con 15.000 dipendenti in Cina, decise di "immobilizzarli" lasciandoli a casa per impedire contatti sui luoghi di lavoro. Hewlett-Packard chiuse la sede di Hong Kong. Microsoft sospese per tutto il personale trasferte di lavoro in Cina, Vietnam e Singapore. Presto iniziò l´esodo di manager delle multinazionali europee. Sulle rotte del Pacifico i Jumbo volavano semivuoti, quando i collegamenti non venivano cancellati dalle compagnie aeree. Sia pure tardive, anche le misure di semi-quarantena adottate dalle autorità cinesi furono un colpo per l´economia locale: intorno a Pechino un cordone sanitario di forze dell´ordine ostacolava il flusso dei pendolari. Il crollo del turismo fu immediato e brutale, anche ai livelli ufficiali: saltavano delegazioni governative e di chief executive. Disertata dai viaggiatori stranieri, con alberghi e shopping mall disperatamente vuoti, Hong Kong vide il suo tasso di disoccupazione raddoppiare all´8% in poche settimane. Nella primavera del 2003 molti esperti temevano che la Sars avrebbe avuto lo stesso impatto del crac finanziario thailandese del 1997: un effetto domino sull´Asia e sui mercati finanziari di tutto il mondo. Alla fine il bilancio fu meno grave del previsto perché il contagio si fermò presto. Ufficialmente la Sars colpì ottomila persone, ne uccise 900: tante in assoluto, ma un´inezia rispetto al bilancio di vittime della malaria o dell´Aids. La paura però non era stata infondata. Con il blocco dei traffici in alcuni crocevia strategici della globalizzazione – da Hong Kong a Toronto – l´allarme sanitario aveva dimostrato l´estrema vulnerabilità creata dall´integrazione economica mondiale. Molte grandi imprese dovettero dotarsi per la prima volta di piani d´emergenza-pandemica, per poter garantire il funzionamento della loro rete di attività integrate a livello planetario.
La crescita dell´economia cinese riprese subito e a ritmi molto sostenuti, dopo il passato allarme del 2003. Il costo economico della Sars è stato stimato a 50 miliardi di dollari, una minuscola frazione delle perdite subite dal sistema bancario e dai risparmiatori nella grande recessione del 2008-2009. Ma è proprio il contesto diverso di oggi che tiene con il fiato sospeso i mercati. La Sars colpì l´Asia in una fase in cui la crescita mondiale era in ripresa. Si erano superati lo choc dell´11 settembre e il crac della bolla speculativa della New Economy. Ora invece il timore-pandemia coincide con la recessione globale più lunga del dopoguerra. I "germogli verdi" annunciati dal banchiere centrale Usa Ben Bernanke sono solo, tecnicamente, segnali di rallentamento nella velocità di de-crescita. E la febbre suina ne alimenta già un´altra: il contagio del protezionismo. Cina, Russia, Ucraina ne hanno approfittato per vietare l´import di carni suine dal Messico e da alcuni Stati Usa. Quella carne non comporta alcun pericolo, la spirale dei protezionismi sì.