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 2009  aprile 29 Mercoledì calendario

IL CAMPIONE E L’EPILESSIA: CORRO SENZA NASCONDERMI


«Ho battuto gli etiopi. Ho battuto gli africani. E dovrei smettere di correre per colpa di un piccolo male? Mai, non smetterò mai», giu­ra Salvatore Antibo, al telefo­no da Altofonte, in provincia di Palermo, il suo paese, in sottofondo i rumori di una ca­sa animata dalle voci di mo­glie e figli. Ha 47 anni, «un pensionato», aggiunge amara­mente. Ne sono passati 17 an­ni da quando abbandonò le pi­ste colpito da un attacco.

Mondiali di Tokyo, finale dei cinque mila metri. Lui grande favorito, l’oro virtual­mente al collo. Si era allenato con tenacia. Comincia bene. All’improvviso rallenta, sem­bra perdersi, scivola ultimo. Ed è la fine davvero. Epiles­sia. Annunciata nei mesi pre­cedenti da passeggere fasi di assenza. Ma nessuno capiva o voleva ammettere che si trat­tasse di qualcosa di grave.

Soffre maledettamente nel ricordare quel giorno il gran­de Totò: «E sa come mai ne parlo con lei, perché accetto di pugnalarmi ancora, cara si­gnora, io che neanche pagato, dopo quello che mi è succes­so, accenderei la tivù durante i Mondiali? Per tutti quei bam­bini che vivono chiusi in ca­sa. I genitori si vergognano o hanno paura delle convulsio­ni. E invece no, supplico le fa­miglie, lasciateli uscire, libera­teli. Devono fare come me. Ec­comi, sono Antibo, ho l’epiles­sia, l’epilessia canaglia, e non mi nascondo. Ogni domenica vado in chiesa. Sono affezio­nato al Signore. Non prego per me. Prego per loro».

Tre volte a settimana l’ex ar­gento olimpico più veloce e resistente di un etiope degli altopiani «corricchia» per le strade del paese. Un accompa­gnatore lo protegge dalle crisi che gli fanno dimenticare sé stesso. Quaranta minuti, non di più, sette chilometri. Meno di una passeggiata per lui che ne macinava 180 a settimana: «La corsa è la mia vita, non la lascerei neppure se rischiassi di morire. Mi hanno tolto tut­to, lavoro, indipendenza, pa­tente. Ma lei no. Non lei. E pensare che neanche mi piace­va a me l’atletica. Giocavo a calcio, alle elementari. Gaspa­re Polizzi, l’insegnante di edu­cazione fisica al liceo e poi mio allenatore, quasi mi co­strinse. ’Dai Totò andiamo a fare un provino’. Poi mi rac­contò che ad occhi chiusi mi aveva già immaginato cam­pione del mondo».

Antibo oggi prende qualco­sa come 1.200 grammi di far­maci al giorno, mattina e se­ra. seguito a Roma dal pro­fessor Oriano Mecarelli, uni­versità La Sapienza. La terapia ha stroncato le crisi. Da 15 al giorno si sono ridotte a circa 4 al mese: «Magari mi arriva una scarica da tre, quattro. Mi­ca so cosa succede in quei mo­menti. Durano un minuto cia­scuna. Mia moglie mi raccon­ta che muovo labbra, mani e occhi in modo strano, tremo e sono tutto scombussolato. Per fortuna non cado per ter­ra. E non mi viene la bava alla bocca. Poi per tre settimane sto in pace».

Antibo è il testimonial del­la Giornata nazionale dell’epi­lessia che verrà celebrata il 3 maggio. Parteciperà anche a tre gare, Roma, Bari e Trieste, in nome dei circa 500 mila ma­lati italiani rappresentati dal­la Lice, la Lega italiana presie­duta da Ettore Beghi. Oggi le cure sono più efficaci, la chi­rurgia con impianto di pace­maker al cervello o di stimola­tori per ripristinare l’elettrici­tà cerebrale con l’impianto di un elettrodo è un’alternativa consolidata per i pazienti re­frattari ai farmaci, un terzo cir­ca dei casi.

Sono in sperimentazione soluzioni promettenti, ad esempio la radiochirurgia, se­condo un recente articolo pubblicato su Lancet Neurolo­gy a firma di Leo Romanelli, istituto Neuromed. Ma il pic­colo male, di origine neurolo­gica, causato da una sorta di corto circuito, è ancora oscu­rato da pregiudizi e falsa per­cezione. Per il 40% degli italia­ni intervistati da Doxa è un problema psichiatrico.