Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 29 Mercoledì calendario

D’ALEMA CONGRESSO VERO BASTA ASSE CON DI PIETRO


Presidente D’Alema, Berlusconi sembra la superstar della politica italiana, e il Pd, che fine ha fatto?

«Apparentemente sembra che Berlusconi occupi quasi per intero la scena della politica italiana e che un po’ di fronda venga solo dall’in­terno dello stesso Pdl, in particola­re dalle personalità che si raccolgo­no intorno a Fini. E non c’è dubbio che Berlusconi cerchi in questo mo­mento di debolezza dell’opposizio­ne di allargare il suo insediamento non soltanto elettorale ma anche politico e culturale. Se però noi spingiamo lo sguardo oltre la cro­naca politica e l’indubbia capacità di Berlusconi di occupare la scena ogni giorno con una trovata nuo­va, la cosa che colpisce è che que­sto governo di fronte a una crisi co­sì drammatica non stia facendo as­solutamente nulla».

Fa propaganda elettorale, ono­revole D’Alema?

«No. Il governo galleggia sui pro­blemi del Paese senza affrontarne nessuno. Berlusconi è un uomo che ama il consenso. Preferisce re­gnare piuttosto che governare, da­to che governare l’Italia comporta il fatto di misurarsi con delle scelte che creano consensi ma, inevitabil­mente, anche dissensi. Nei 15 anni in cui è stato protagonista della vi­ta politica italiana non ha fatto nul­la di significativo. Non si ricorda una sua sola riforma importante. Le uniche riforme di un qualche si­gnificato, da quella delle pensioni alla privatizzazione delle grandi in­dustrie pubbliche, dalla riforma fe­deralista della Costituzione alle li­beralizzazioni, le ha fatte il centro­sinistra. E io credo che grazie a que­sto suo comportamento l’Italia pa­gherà un prezzo altissimo».

Veramente Berlusconi dice che stiamo meglio degli altri.

«Un’affermazione che non ha nessun fondamento: il calo del Pil è maggiore della media europea, l’inflazione pure. E la situazione della finanza pubblica è sempre più disastrosa. Anche questa sua idea che si possa affrontare ogni emergenza senza copertura finan­ziaria è sicuramente molto sugge­stiva e popolare, però bisogna sape­re che ha come corrispettivo il fat­to che il debito pubblico italiano sia spinto verso il 115,3 per cento del pil, quest’anno, e proiettato al 121,1 per cento nel 2010. Quindi, quando si uscirà dalla crisi e la ge­rarchia internazionale verrà ridise­gnata, rischiamo che il nostro Pae­se conti molto meno nell’econo­mia mondiale. Lo dico non perché io sia pessimista sulle potenzialità dell’Italia, ma perché sono preoccu­pato: non vedo una strategia e una azione coerente che dovrebbero puntare sulla riduzione delle dise­guaglianze e sulla promozione dell’ innovazione, della ricerca e della formazione, cioè dei talenti di cui dispone il nostro Paese».

E il Pd intanto che fa?

«Ecco, il Pd non può non riparti­re da qui: dalla sfida con la destra sul governo del Paese. Il problema non è tanto fare il viso delle armi, come fa Di Pietro, che in questo senso è funzionale a Berlusconi. Se fai un versaccio al premier il risultato è che il 70 per cento sta con lui, solo il 10 con te, ma siccome Idv aveva il 4 loro sono contenti. Questa è una logica minoritaria. Significa scegliere per sé un ruolo eterno di com­primario, fare la spal­la a Berlusconi per i prossimi mille anni».

Ma Di Pietro vor­rebbe sostituirsi al Pd...

«Già, vede in noi più che in Berlusconi il suo avversario principale. La sua idea di sostituirci è del tutto vellei­taria, ma è pericoloso che in un mo­mento come questo si indichi co­me obiettivo principale quello di colpire il più grande partito d’oppo­sizione ».

Ma il Pd non dovrebbe ridefini­re il suo ruolo?

«E’ per questo che ci vuole un congresso serio».

Anche a costo di dividersi?

«Dividersi non è drammatico. Al loro congresso i leader del Pdl si so­no divisi perché hanno detto cose diverse gli uni dagli altri. Un gran­de partito che vuole rappresentare il fulcro dell’alternativa di governo è un partito plurale, dove si discu­te, ma il problema non è questo, il problema è la qualità della discus­sione: non ci si può dividere sui

gossip».

Un Pd «ridefinito» dovrà anche giocare la sfida delle riforme. Quali mandare in porto per pri­me?

«Innanzitutto ci vuole un drasti­co ridimensionamento dell’ipertro­fia del ceto politico. Se vogliamo re­stituire autorevolezza alla politica democratica dobbiamo puntare a una drastica riduzione del numero degli eletti a tutti i livelli: nel Parla­mento, nei consigli regionali, in quelli comunali. E’ poi necessaria una rinnovata selezione del ceto politico. I meccanismi di selezione sono saltati: ci sono solo logiche plebiscitarie. I consigli comunali sono scelti dal sindaco, il Parlamen­to viene nominato da due, tre capi. Una forma di selezione è rappresen­tata dal collegio uninominale. Ma bisogna anche restituire ai partiti un loro profilo e una loro identità, uscendo dalla logica delle coalizio­ni forzose, perciò va tolto il premio di coalizione. In questo quadro io credo che si possa fare una grande riforma che preveda anche il raffor­zamento della stabilità dei governi con la sfiducia costruttiva e la pos­sibilità del premier di nominare e cambiare i ministri. Ma il fonda­mento di una riforma di questo ge­nere è una nuova legge elettorale, che secondo me deve essere di tipo tedesco. Senza una nuova legge elettorale non c’è nessuna riforma costituzionale possibile».

Tornando al Congresso, la scel­ta del segretario avverrà come l’al­tra volta: un candidato vero e tut­ti gli altri «finti »?

«Io penso che sarà un congresso competitivo, che ci saranno più candidature e che ci sarà una di­scussione politica».

E crede che il Pd decollerà al­meno questa volta?

«Il Pd deve rivendicare l’eredità dell’Ulivo e l’esperienza di gover­no. Bisogna costruire un partito ve­ro, radicato nella società, e struttu­rare una leadership. Lo stesso Ber­lusconi sa che senza Bossi, Fini e gli altri la sua leadership sarebbe più debole. Insomma, il progetto va rilanciato su basi assai più soli­de ».

Alla festa dei suoi 60 anni, lei ha detto che vuole ancora avere un ruolo in politica. C’è chi so­spetta che lei voglia fare il segre­tario.

«Ho detto che non mi sentivo co­me Guglielmo il Maresciallo, prota­gonista di uno splendido libro di Georges Duby, che, sentendosi mo­rire, riunisce attorno a sé tutti gli amici e fa un bilancio della propria vita. A sessant’anni uno può anco­ra continuare a darsi da fare in poli­tica, anche senza necessariamente rivendicare per sé il bastone del co­mando ».

Al congresso dovrete anche de­cidere le alleanze future.

«Certo, dovremo sciogliere un nodo politico: non sono più ripro­ponibili né la confusione dell’Unio­ne, né l’autosufficienza del Pd e l’asse privilegiato con Di Pietro, che non avrebbe senso e che secon­do me non ne aveva molto nean­che allora. Dovremo quindi lavora­re intorno al progetto di un nuovo centrosinistra il cui fulcro sia il Pd. Questo sarà il nodo politico più im­portante della discussione congres­suale ».

Ultima domanda: che impres­sione le ha fatto Berlusconi che fe­steggia il 25 aprile?

«Certo, è un po’ l’indice della si­tuazione triste del nostro Paese il fatto che questo debba essere salu­tato come un evento. Ma che lui fi­nalmente arrivi a riconoscere che le grandi forze antifasciste, com­presa la sinistra, hanno avuto il me­rito di contribuire alla liberazione del Paese è positivo. Ci sono voluti 15 anni perché partecipasse ai fe­steggiamenti del 25 aprile, può dar­si che tra altri 15 anni affronti an­che il tema del conflitto di interes­si... ».