Claudio Gatti, Il sole 24 ore 28/4/2009, 28 aprile 2009
MADONNINA BOND, SEQUESTRI PER QUTTRO COLOSSI BANCARI
Con una misura senza precedenti, immobili, quote azionarie e conti correnti sono stati sequestrati ieri dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano a quattro dei maggiori istituti finanziari mondiali: JPMorgan Chase, Deutsche Bank, Ubs e Depfa Bank. Il sequestro preventivo, per un valore totale di oltre 340 milioni di euro, è stato autorizzato giovedì scorso dal Gip Giuseppe Vanore. La richiesta veniva da Alfredo Robledo, il sostituto procuratore che da fine 2007 indaga sul cosiddetto Madonnina bond, l’emissione obbligazionaria da 1,7 miliardi di euro siglata nel giugno 2005 dal Comune di Milano.
Secondo il magistrato fu una truffa ai danni del Comune che ha permesso alle quattro banche di realizzare profitti ritenuti illeciti per oltre 100 milioni di euro. Nel corso di un’inchiesta, pubblicata oggi anche da «International Herald Tribune/New York Times», «Il Sole 24 Ore» ha appreso che è solo il primo atto di un’offensiva giudiziaria sugli abusi del mercato delle emissioni obbligazionarie degli enti territoriali destinata ad allargarsi anche dall’altro lato dell’Atlantico.
La più grande emissione obbligazionaria della storia di una città europea, venne festeggiata come un successo. «Grazie a questo prestito obbligazionario – spiegò l’allora sindaco Gabriele Albertini – l’amministrazione comunale potrà estinguere i mutui precedentemente assunti a tassi più onerosi, senza aumentare il proprio indebitamento. Già a partire da quest’anno il bilancio comunale potrà contare su 103 milioni di euro aggiuntivi, altri 30 nel 2006 e 35 nel 2007, per un totale di 168 milioni nel triennio».
In realtà, secondo il sostituto procuratore Robledo, fu una truffa al Comune in cui le banche hanno realizzato oltre 100 milioni di euro di profitti. Tutti nascosti nei complicatissimi calcoli degli swap a valle di un’emissione obbligazionaria che per legge non si sarebbe neppure dovuta fare.
Il Sole-24 Ore ha contattato le quattro banche interessate ma nessuna ha voluto rilasciare commenti.
Se la costruzione giudiziaria del pm Robledo venisse applicata anche ad altre emissioni obbligazionarie degli enti territoriali italiani, potrebbero saltare operazioni per decine di miliardi di euro. I nostri enti locali hanno oggi circa 35 miliardi in obbligazioni, e se le loro posizioni dovessero continuare a deteriorarsi, come è successo ultimamente, gli enti potrebbero avere uno strumento giudiziario per rivedere tutti gli accordi di ristrutturazione del debito stipulati con le banche negli ultimi 10 anni.
Sotto inchiesta per truffa sono dieci funzionari o dirigenti delle quattro banche citate. Tra loro anche Gaetano Bassolino, il figlio del Governatore della Campania. Le banche sono invece indagate come persone giuridiche e accusate di violazione della 231, la legge che disciplina la responsabilità degli enti, perché non sarebbero state in grado di prevenire i reati commessi dai loro funzionari e per aver tratto un significativo beneficio economico dalla loro condotta illegale.
Secondo il magistrato di Milano, i dieci banchieri avrebbero spinto il Comune a partecipare a un’operazione finanziaria d’intesa con Giorgio Porta e Mario Mauri, all’epoca rispettivamente Direttore Generale pro tempore del Comune e advisor per la ristrutturazione del debito.
In base all’articolo 41 della legge finanziaria del 2001, «gli enti possono provvedere alla conversione dei mutui contratti... mediante il collocamento di titoli obbligazionari di nuova emissione o rinegoziazioni dei mutui, in presenza di condizioni di rifinanziamento che consentano una riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico degli enti stessi». In altre parole, un ente locale può ristrutturare il debito solo se c’è una convenienza economica. Per questo motivo, il 16 giugno 2005, il consiglio comunale di Milano deliberava di procedere all’emissione di titoli obbligazionari solo a condizione che le nuove passività fossero inferiori a quelle originarie.
La richiesta di sequestro preventivo fa riferimento a una lettera inviata a nome delle quattro banche e firmata da Tommaso Zibordi di Deutsche Bank, da Gaetano Bassolino per UBS, e Antonia Crenza e Fulvio Molvetti per Jp Morgan, nella quale si sosteneva che la ristrutturazione sarebbe stata vantaggiosa. La missiva menzionava l’art. 41 e stimava la misura della convenienza economica in 55 milioni di euro. La sussistenza della convenienza economica veniva poi ribadita il 23, 24 e 30 giugno. Ma in tutte queste comunicazioni veniva tenuta nascosta l’esistenza di un contratto derivato con UniCredito Italiano connesso ai mutui che si sarebbero estinti il cui costo di chiusura non era stato tenuto in considerazione ai fini del calcolo della convenienza finanziaria dell’operazione.
Secondo il pm Robledo, le banche e l’allora Direttore Generale del Comune Porta erano consapevoli della presenza di quel derivato. A dimostrarlo documenti inviati dai banchieri di Jp Morgan nei quali si suggerivano diverse modalità per chiuderlo.
Su questo c’è anche la testimonianza dell’attuale direttore centrale Finanza e bilancio del Comune di Milano, Angela Casiraghi, secondo la quale la questione del derivato fu da lei sollevata in una riunione avuta con i banchieri e Porta. Le fu risposto che la chiusura della posizione si sarebbe fatta in un secondo momento e chiesto di non farne riferimento nei documenti.
Il 26 luglio 2005, la Giunta dichiarò però che la ristrutturazione di quella posizione era correlata all’operazione di emissione del prestito obbligazionario e deliberò di procedere alla ristrutturazione. Il Comune dovette spendere 96 milioni di euro per chiudere il derivato e altri 14 milioni e mezzo di costi di finanziamento. Se questa cifra fosse stata inclusa nei calcoli, come dovuto, sarebbe venuta a mancare la convenienza economica e il Comune non avrebbe potuto portare a termine l’operazione. Secondo il pm Robledo si sarebbe dovuto tenere conto anche dei costi nascosti dello swap, che a suo giudizio hanno costituito «il profitto illecito».
Il magistrato fa notare che il compenso richiesto dalle banche per l’emissione e il collocamento era di appena lo 0,01% del valore del bond. Ufficialmente le banche avevano costruito l’operazione per 42.133 euro e 67 centesimi a testa. Ma l’emissione del prestito era propedeutica a un’operazione finanziaria molto articolata con una differenza di valore tra le due gambe dello swap costruito sul bond che le banche avrebbero omesso al Comune.
Un analista spiega così il passaggio: «Ogni swap è composto da due gambe. Una corrisponde al bond che c’è dietro, ed è quindi facile da calcolare perché il suo è lo stesso valore dell’emissione. L’altra invece è molto più difficile da calcolare, perché include componenti complesse quali il derivato di credito e il cosiddetto sinking fund, il fondo di ammortamento».
Per la quantificazione di questa differenza, il magistrato si è rivolto al professor Gianluca Fusai, direttore del dipartimento Scienze Economiche e Metodi Quantitativi dell’Università del Piemonte Orientale. Secondo Fusai la struttura del contratto di swap generava per le banche un plus di 53 milioni di euro. Poiché era incorporato in una gamba del swap, anche quello sarebbe dovuto essere stato incluso nel calcolo della convenienza economica. L’operazione 2005 fu sottoposta a cinque ristrutturazioni tra il settembre di quell’anno e l’ottobre del 2007 da cui, secondo Fusai, le banche trassero altri 48 milioni.
Oltre a conti in banca ed immobili, gli uomini della Guardia di Finanza, coordinati dal colonnello Vincenzo Tomei del Nucleo di Polizia Tributaria di Milano, hanno sequestrato azioni della società Jp Morgan Real Estate Spa e un quarto del capitale sociale di Deutsche Bank Spa.
A fine gennaio scorso, il Comune ha passato una delibera in cui ha accusato le banche di «comportamenti illeciti, scorretti e inadempienti» annunciando di aver promosso un’azione civile presso il tribunale di Milano nei confronti di Jp Morgan, Ubs, Deutsche Bank e Depfa. Pochi giorni dopo, Jp Morgan ha presentato una contro-denuncia alla High Court di Londra, sostenendo che la disputa legale debba essere valutata da un tribunale londinese. In effetti, nelle loro presentazioni, le banche avevano segnalato di essere soggette alla supervisione della Financial Securities Authority, la Consob britannica e i contratti con il Comune includevano la competenza del foro londinese.
Secondo la procura milanese però, le banche avrebbero violato anche la normativa inglese. Citando l’opinione di David Dobell, ex ispettore dell’autorità di sorveglianza britannica, Robledo sostiene che le banche avrebbero violato «i principi di business» della Fsa, contravvenendo ai doveri fiduciari di trasparenza e protezione del cliente.
Ora va verificato l’impatto dell’iniziativa del dottor Robledo che potrebbe toccare buona parte dei 35 miliardi di derivati dei nostri enti territoriali. «L’articolo 41 della Finanziaria del 2001, in pratica, prevede che per l’ente la situazione finanziaria post-bond debba essere più vantaggiosa di quella pre-bond. Il confronto non deve però essere fatto tra i mutui pre-esistenti e il bond. Perché inerente al bond è lo swap che ne deriva, ed è il costo di quello - con tanto di sinking fund e derivato di credito - che deve essere preso in considerazione nel calcolo della convenienza», conclude un analista.