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 2009  aprile 29 Mercoledì calendario

1 - COSì VANNO A PICCO I CONTI DI MILANO

Paolo Colonnello per "La Stampa"

Qualcuno ricorda la truffa di Totò che vende la fontana di Trevi agli americani sprovveduti? Ecco, in questa storia complicata dei derivati venduti al Comune di Milano è come se gli americani, e con loro i francesi, i tedeschi e gli svizzeri, insomma le vittime canoniche delle nostre barzellette, si fossero vendicati tutti insieme vendendo a Palazzo Marino il Duomo e i suoi tesori.


E con il Duomo un miraggio: quello di guadagnare - senza averne la capacità - cifre enormi attraverso delle scommesse finanziarie per ripianare i bilanci delle disastrate casse comunali. A guadagnare invece, secondo l’accusa sono stati solo loro, gli istituti di credito internazionali, Jp Morgan, Deutsche, Ubd e Depfa, sottoposti dall’altro ieri al sequestro preventivo più clamoroso degli ultimi anni: 478 milioni in solido con due ex dirigenti del Comune.

Secondo l’accusa le banche, prospettando a Palazzo Marino un guadagno di 55 milioni di euro, in realtà riuscirono ad iscrivere nei propri bilanci ben 53 milioni di euro di perdita finanziaria a carico del Comune, considerati ora il vero nocciolo della truffa contestata. E questo per il semplice fatto di aver indotto il Comune, l’allora sindaco Gabriele Albertini e i suoi uomini di fiducia, oggi indagati, a impegnarsi nella più grande emissione obbligazionaria della storia di una città europea (1,7 miliardi di euro) con un bond trentacinquennale.


Perché per partecipare al grande risiko dei derivati, Palazzo Marino avrebbe dovuto avere una persona «legittimata a prendere tale decisione». Esisteva questa persona? No. Ma venne inventata e fatta esistere nella timida e quasi patetica figura dell’ex direttore centrale del settore Ragioneria, Finanza, Patrimonio e Tributi del Comune di Milano, il dottor Butti Elfo, che firmò a nome dei cittadini i contratti capestro con le banche nel giugno 2005 a Londra e che ora è diventato un testimone schiacciante.

«Per quanto mi concerne direttamente affermo che non sono affatto esperto in operazioni di strumenti derivati», ha risposto al pm durante un interrogatorio nel luglio scorso. «... Avevo informato il dottor Porta del fatto che non avevo alcuna conoscenza in materia di derivati e che non parlavo l’inglese. Questi mi rispose che ciò non costituiva un problema...». Il problema invece c’era, eccome.

Gli inquirenti ne individuano tre, tutti riconducibili all’elusione della normativa internazionale in materia, regolata dall’ordinamento inglese disciplinato dal Financial Services and Markets Act 2000, aggiornato e recepito da noi nella legge 448 del 2001. Il primo riguarda il conflitto d’interessi nel doppio ruolo rivestito dalle banche di "advisor" del Comune e di finanziatori.

Il secondo è relativo alla mancanza di condizioni di parità nel valore delle prestazioni che, alla stipula dei contratti tra Palazzo Marino e istituti di credito, avrebbe dovuto essere uguale a zero. Invece la struttura del contratto determinava già in partenza quel guadagno di circa 53 milioni di euro per le banche configurato ora come illecito.


Infine, secondo l’accusa, gli istituti di credito avrebbero dovuto trattare il Comune, in quanto ente territoriale come un "intermediate customer", un cliente avente cioè pieno diritto a godere delle protezioni offerte dal sistema regolatorio (trasparenza, parità di mezzi, guadagni e riduzione del valore finanziario delle passività).

Invece, e qui sta l’inghippo, Milano venne equiparata a un "market counterparty", cioè a una sorta di altra banca, ovvero una controparte professionale e si è visto, grazie alla testimonianza del dirigente della tesoreria, che così non poteva essere. Se il Comune fosse stato informato di questo dettaglio, fa notare il giudice, non avrebbe potuto, per legge, stipulare alcun contratto.

Per l’accusa è evidente la complicità dei due alti dirigenti del Comune: l’ex direttore generale, ex assessore al bilancio, ex manager Montedison Giorgio Porta e l’ex compagno di liceo del sindaco Albertini, nonché suo consulente economico, Mario Mauri.

Per ora l’inchiesta mira alle responsabilità penali sia delle banche che dei banchieri, tra cui spicca Gaetano Bassolino, figlio del Presidente della Campania. Ma è evidente che in tutta questa storia ci sono delle responsabilità politiche precise. «Grazie a questo prestito obbligazionario - spiegò l’allora sindaco Gabriele Albertini - l’amministrazione comunale potrà estinguere i mutui precedentemente assunti a tassi più onerosi senza aumentare il proprio indebitamento». E’ successo esattamente il contrario. E qualcuno dovrà spiegare il perché.