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 2009  aprile 28 Martedì calendario

LA GERMANIA TIFA MAGNA. SI RIVEDE DEMEL


Il ciclone che si è abbattuto sull’in­dustria mondiale dell’auto schiude nuovi scenari, riscopre vecchi prota­gonisti e scatena ferme prese di posi­zione. E nel caso del salvataggio della controllata europea della General Mo­tors, all’indomani delle dichiarazioni del commissario europeo all’Indu­stria, il tedesco Verheugen, aperta­mente contrarie a un eventuale coin­volgimento della Fiat (seppure corret­te nel giro di 24 ore «resterò imparzia­le »), ieri hanno fatto seguito le affer­mazioni del vicecancelliere e mini­stro degli Esteri di Berlino, Frank-Walter Steinmeier, che hanno portato alla ribalta il gruppo au­stro- canadese Magna («un’opzione più seria della Fiat»), e quelle del mi­nistro dell’Economia, Guttenberg («Magna è un partner potenzialmen­te interessante: esamineremo seria­mente un suo possibile ingresso nella Opel»).

Ma cosa produce, e soprattutto chi c’è dietro alla Magna? Il gruppo au­stro- canadese, sconosciuto al grande pubblico e alla stragrande maggioran­za degli automobilisti, si è specializza­to nello sviluppo e produzione di vei­coli per conto terzi. Per esempio, nel­lo stabilimento europeo di Graz, in Austria, assembla auto per diverse ca­se: da alcuni modelli Saab, per conto di Gm, al monovolume Voyager, della Chrysler. E nella Magna ritroviamo quell’Herbert Demel che per 18 mesi, tra fine 2003 e il febbraio 2005, fu chiamato a governare il timone di Fiat Auto, per poi cederlo a Sergio Marchionne. Ma che fu anche tra gli artefici dell’accordo industriale con la General Motors di Wagoner basato sulle sinergie e sullo sviluppo di piat­taforme comuni per la produzione di nuovi modelli.

Proprio il concetto dell’utilizzo del­le stesse piattaforme produttive per due o più case, che poi personalizza­no i propri modelli nel rispetto dei dif­ferenti marchi, è quello che oggi appa­re determinante nel successo di un’ag­gregazione industriale. Un principio che assume un valo­re ancora superiore rispetto alla semplice somma aritmeti­ca dei possibili volumi di ven­dita che si potrebbero conse­guire per effetto di una fusio­ne. «L’idea non è nuova: ba­sta ricordare l’intesa denomi­nata ’Tipo 4’ dei primi anni Ottanta tra la Fiat, l’Alfa Ro­meo ancora gestita dall’Iri e la svedese Saab – ricorda Giuseppe Vol­pato, professore di Economia e gestio­ne delle imprese all’università Cà Fo­scari di Venezia – un’alleanza da cui nacquero modelli come Fiat Croma, Lancia Thema, Alfa 164 e Saab 9000. Fu un successo dal punto di vista dei costi industriali, determinato dall’im­piego del medesimo pianale, dell’anel­lo porta comune per l’utilizzo delle stesse portiere e di un gran numero di componenti identici montati su tut­ti e quattro i modelli».

I tempi adesso sono cambiati, resta però pur sempre significativo il fatto che oggi, altro esempio significativo, la Grande Punto della Fiat e la Corsa della Opel vengono costruite sullo stesso pianale. E a chi sostiene l’im­possibilità della convivenza di mar­chi differenti, con tipolo­gie di acquirenti talvolta contrapposti, all’interno dello stesso gruppo, gli analisti del settore citano il «caso Volkswagen», che sotto lo stesso ombrello progetto produce e vende auto come Audi, Seat e Sko­da.

Per il gruppo Fiat l’ipote­si di avviare in tempi ragio­nevolmente brevi la produ­zione, nello stabilimento messicano di Toluca della Chrysler, di una piccola Jeep sul pianale della Pan­da Cross di prossima generazione, si presenta quindi come un’operazione tutt’altro che remota. Così come per la piccola Chrysler, derivata dalla Fiat Grande Punto, che potrebbe nascere nell’impianto canadese di Windsor. Sempre della Chrysler.