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 2009  aprile 28 Martedì calendario

NUOVA PROPOSTA GEITHNER ALLE BANCHE


Suona la cam­pana dell’ultimo giro: entro tre giorni si deve chiudere. Fatto l’accordo coi sindacati america­ni e canadesi, adesso il Tesoro Usa e la task force automobilisti­ca della Casa Bianca guidata da Steven Rattner sono impegnati nel rush finale con i creditori di Chrysler per rimettere in pista la Casa automobilistica di Auburn, stavolta con la Fiat al volante, ed evitare, così, la procedura di ban­carotta.

Lo scoglio degli obbligazioni­sti si sta rivelando più duro del previsto. I creditori, che hanno prestato quasi 7 miliardi di dolla­ri alla Chrysler, hanno respinto la proposta del governo Usa che, all’inizio, offriva loro di recupe­rare solo 15 centesimi per ogni dollaro prestato, senza alcuna partecipazione al capitale della nuova società. I creditori hanno respinto anche una successiva offerta migliorativa, dicendosi disposti a cancellare poco più della metà del debito Chrysler (3,75 miliardi) in cambio del 40% del capitale della nuova so­cietà.

 un’ipotesi impraticabile per il Tesoro, che ha promesso una quota consistente della società ai sindacati (in cambio dei man­cati versamenti aziendali ai fon­di sanitari e pensionistici), ha as­sicurato il 20% delle azioni Chry­sler alla Fiat e vorrebbe mantene­re per sé (attraverso alcuni trust) il controllo di un terzo del capitale di un gruppo automobi­listico nel quale sta immettendo 10 miliardi di denaro dei contri­buenti. In ogni caso la task force starebbe ora per presentare un’ultima controproposta ai cre­ditori.

Prendere o lasciare: se non si raggiunge l’accordo, rimane so­lo la strada della liquidazione «pilotata», presentata già la setti­mana scorsa come una soluzio­ne ormai probabile e non trau­matica, perché il passaggio attra­verso le procedure del «Chapter 11» verrebbe gestito d’intesa con i sindacati e la Fiat.

In realtà, se è vero che una li­quidazione può essere ammini­­strata limitando i traumi, è illu­sorio sperare in una procedu­ra- lampo. Con l’azzeramento si risolverebbero molti problemi giuridici, ma i tempi non sareb­bero comunque brevi: settima­ne, forse mesi. E di tempo per salvare Chrysler ne è rimasto po­co. Per questo anche il Tesoro probabilmente preferisce evitare la bancarotta, che, però, è l’uni­ca arma «pesante» di cui dispo­ne nel confronto coi creditori.

Della battaglia finanziaria sot­terranea combattuta in queste settimane è trapelato poco. Uno scontro duro e anche, in parte, anomalo, visto che il debito, di­stribuito tra molte banche ed he­dge funds, è detenuto per metà da quattro grandi istituzioni fi­nanziarie – JP Morgan Chase, Ci­tigroup, Morgan Stanley e Goldman Sachs – nelle quali il Tesoro ha già pom­pato decine di miliar­di di dollari di capita­le.

In una logica da partecipazioni stata­li all’italiana, questi istituti dovrebbero essere particolar­mente sensibili alle pressioni di un go­verno che cerca di salvarli, ma che deve risolvere anche il rebus dell’auto. In realtà i banchieri, che da quando hanno accettato denaro pubblico vengono tratta­ti a pesci in faccia dal Congresso e hanno perso molta autonomia decisionale, stanno facendo il possibile (e, forse, anche l’impos­sibile) per ridare indietro i fondi ricevuti dal Tesoro. E non voglio­no accettare diktat del governo. Alcune di loro (come Citi) proba­bilmente non riusciranno a stare in piedi coi loro mezzi e finiran­no per gravitare nell’orbita pub­blica. Ma non sono cose che acca­dranno prima del 30 aprile, data limite fissata da Obama per l’au­to. Per adesso il governo deve usare le armi tradizionali della trattativa finanziaria, condite con la minaccia di bancarotta. Il Tesoro potrebbe onorare un quarto dei 6,9 miliardi del debi­to Chrysler e offrire alle banche una partecipazione del 10% nella nuova società.

Il governo Usa preme sui cre­ditori di Chrysler e ha fretta di chiudere anche perché, in paral­lelo, sta affrontando un’altra bat­taglia ancor più difficile: quella per la sopravvivenza della GM. Il gruppo, che ieri ha annunciato la scomparsa del «glorioso» mar­chio Pontiac e che ha varato un nuovo piano con l’eliminazione di altri 21 mila posti di lavoro per cercare di sopravvivere alla crisi, deve ristrutturare debiti per ben 27 miliardi di dollari, in una dura trattativa con gli obbli­gazionisti che ieri hanno detto no all’ultima controproposta GM. Il gruppo, che si appresta a chiudere 13 delle 47 fabbriche che le sono rimaste negli Usa, ha offerto al governo la metà del suo capitale in cambio della can­cellazione di metà del debito in prestiti federali, compresi quelli che verranno erogati da qui alla fine di maggio.