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 2009  aprile 28 Martedì calendario

Che cos’è cambiato? Tutto o qua­si. Nel 1926, quando eravamo 40 milioni, la giovane contadina An­na, della provincia di Vicenza, che si sposò ventenne, poteva racconta­re di aver trovato, nella nuova fami­glia, «quatro omeni, più mé suoce­ro, mé suocera e mé cugnà»

Che cos’è cambiato? Tutto o qua­si. Nel 1926, quando eravamo 40 milioni, la giovane contadina An­na, della provincia di Vicenza, che si sposò ventenne, poteva racconta­re di aver trovato, nella nuova fami­glia, «quatro omeni, più mé suoce­ro, mé suocera e mé cugnà». I figli, chissà quanti, sarebbero venuti do­po. Famiglie allargatissime al Nord. Figurarsi al Sud. Quando era­vamo 30 milioni, nel 1896, una con­tadina meridionale avrebbe potuto dire cose simili, sia pure con un dia­letto diverso. Ma rimanendo al cli­ché delle famiglie allargate, si pote­va raccontare anche un’altra storia rispetto a quella di Anna: per esem­pio, nel 1894, quella de « I viceré» di De Roberto. Famiglia nobile cata­nese, i cui componenti vengono di­vorati dall’odio, dalla sete di potere e dalla corruzione, fino ad averne deformati non solo i tratti morali ma anche quelli fisici. In realtà, ne­gli ultimi anni dell’800 prevalgono, in fotografia, le immagini dei gran­di eventi, cioè dei matrimoni in po­sa perfetta, le famiglione-comuni­tà di montagna, prete compreso al centro; oppure i quadretti interni di cucitrici in sala da pranzo e di ric­che famiglie con dietro quadri, can­delabri e l’immancabile pianoforte. Nelle famiglie operaie c’è sempre un giovane robusto «con due baffi da uomo» e cappello, al fianco di una ragazza con guanti e chignon approntato apposta per la comunio­ne del bimbo. Scalati tre decenni e dieci milio­ni, dipende. Se siamo nella Cala­bria più profonda, la guardia giura­ta del barone, fucile a tracolla e bar­ba incolta, può farsi riprendere con i quattro figli chi in piedi, chi sedu­to su un sasso, chi tra le braccia del­la mamma o della suocera, il cane in un angolo, la cesta al centro, per terra, colma di pane. La suocera non manca mai. A Palermo come a Belluno. Era lei che prendeva in ma­no le sorti domestiche della dina­stia, povera o ricca che fosse. Solo la guerra e il lavoro saranno capaci di sfilacciare provvisoriamente la famiglia italiana: basta pensare alle immagini di sole donne in gruppo, prive di padri e mariti, foto destina­te ai consorti al fronte o in emigra­zione perenne (in America prima, nelle miniere o nelle fabbriche del Nord dopo). DALLA FAMIGLIA COMUNITA’ ALLA FAMIGLIA PARCHEGGIO- Certo, tornando all’Italia dei qua­ranta milioni di abitanti, c’era già anche la famiglia dissipata che rac­conta Moravia ne « Gli indifferenti» (1929), dove la figura paterna viene sostituita dall’amante della madre rimasta vedova, in un intreccio di falsità e di ipocrisie borghesi. Ma la borghesia può permettersi combi­nazioni più fantasiose di quanto possa concedere il tran tran dell’ita­liano medio, concentrato per lo più a sbarcare il lunario. Sin dall’800 le figlie della borghesia studiano più a lungo delle altre e si sposano più tardi senza preoccuparsi di cercare lavoro. Le più povere trovano mari­to bambine e se non lo trovano da sé, c’è chi glielo impone. E ancora fin dentro ai ”60, da poco superati i cinquanta milioni, che scoccano nell’anno di grazia 1959. Quando possiamo trovare a Nord il dopo­pranzo delle mondine semiscoscia­te distese sui campi di fianco alle lo­ro biciclette, a Sud gli instancabili braccianti che continuano a scarica­re cassette di uva o di pomodori. O imbatterci in un cult dell’immagina­rio italiano: l’emigrante che dai fine­strini dei treni scarica grosse vali­gie chiuse da corde nelle banchine di stazioni ancora sconosciute. In at­tesa, ovviamente, di essere raggiun­to da moglie e figli, e magari anche da padre, madre, suoceri, cognati e nipoti. Perché la famiglia è – come scrisse nel 1973, Peter Nichols, cor­rispondente del Times da Roma’ «il più celebre capolavoro della so­cietà italiana attraverso i secoli, il baluardo, l’unità naturale, il dispen­satore di tutto ciò che lo Stato ne­ga ». Così ancora nel ’59, pieno boom economico, quando la Rai aveva già superato il milione di ab­bonamenti, dead line per le giorna­te di molti bambini, si apprestava a imporre, come avrebbe scritto Pa­solini, ’in tutto il suo nitore (...) il nuovo tipo di vita che gli italiani ’devono’ vivere». Passato mezzo secolo, approdati nell’era del consu­mo edonistico e irresponsabile, e toccato il picco dei sessanta milio­ni di abitanti, chissà se la diagnosi sulla società familistica italiana pro­nunciata a suo tempo dal famoso corrispondente del Times avrebbe qualche senso. Anche in Italia la sa­cra famiglia è ormai un’entità da declinare al plurale: famiglie mono­parentali, famiglie miste nate dal­l’immigrazione, famiglie di fatto, famiglie instabili, famiglie deboli, famiglie esplose, famiglie corte e fa­miglie lunghe, famiglie-parcheg­gio per bamboccioni, per eterni adolescenti e per precari in attesa di una società che li accolga come cittadini a tutti gli effetti.