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 2009  aprile 28 Martedì calendario

I VINCITORI DEI PREMI: DALLA FAMA ALLA FAME


Gli ottimisti sostengono che questo 2009 po­trebbe essere l’anno zero dei premi letterari. C’è un gran movimento intorno alla cinquina dello Strega. Ci sarà, probabilmente, anche intorno al Campiello. comprensibile. So­no i due premi che in genere danno un’impennata alle vendite e qualche volta anche alla fama. Non sempre, però. Con il senno di poi, tutto questo affannarsi può fare anche un po’ sorridere. Tolti gli addetti ai lavori, chi si ricorda più degli «stregati» Angioletti, Brignetti, Petro­ni, Cialente, Gorresio, Nievo, alcuni dei quali sono rispet­tabilissimi scrittori? E quanti dei 62 premiati sono entra­ti nella memoria dei lettori italiani se già Dessì, Canco­gni, Pomilio, Tomizza ci stanno stretti? E chi si ricorda di Carlo Alianello, di Antonio Aniante, di Gino Monte­santo, di Renato Ghiotto, di Enrico Raffi, di Eugenio Tra­vaini, di Bino Sanminiatelli e di tanti altri illustri scono­sciuti che ebbero il privilegio di essere ammessi nella cinquina del Campiello? E che ne è dei supervincitori Gianna Manzini, Stefano Terra, Gianni Granzotto, Ser­gio Maldini? Stanislao Nievo e Mario Pomilio si aggiudi­carono addirittura il Campiello e lo Strega, come è suc­cesso a pochi altri. Ma chi ne parla più?

Le lettere di Anna Maria Ortese a Leonardo Sciascia, che usciranno nel nuovo numero del semestrale Il Giannone, dicono il resto: una delle maggiori scrittrici del Novecento, che nel ’53 si portò a casa il Viareggio con «Il mare non bagna Napoli», vent’anni dopo aver vinto lo Strega con «Poveri e semplici», nell’86, a settantadue anni, dovette ricorrere alla Legge Bacchelli per riuscire a vive­re una vecchiaia dignitosa. E in questi giorni arriva la notizia che anche Saverio Strati, che nel ’77 ottenne il Supercampiello per il ro­manzo «Il selvaggio di santa Venere», potrebbe affidarsi alla Bacchelli per tiare avanti. Strati è nato nel ’24 a San­t’Agata del Bianco, ha pubblicato una trentina di libri, tra romanzi e racconti. Ha i cassetti pieni di inediti, ma non c’è editore che ne voglia sapere. Ha raccontato la sua vita di povertà in una lettera inviata al Quotidiano di Calabria: le condizioni della famiglia non gli permisero di studiare, da ragazzo lavorò nei campi con suo padre, poi fece il murato­re e solo nel ’49 grazie all’aiuto economico di uno zio d’America riuscì a prendersi la maturità classica.

«Leggere e scrivere era per me vivere», dice oggi. Al­l’Università di Messina seguì le lezioni su Verga di Giaco­mo Debenedetti, che sarebbe stato il primo ammirato let­tore dei suoi romanzi. I suoi romanzi – che narravano crudamente un Sud di vincitori e di vinti, di potenti e di rassegnati, di furbi e di sfruttati – sembravano avviati a eterna fortuna, tradotti in molti Paesi all’estero. Dall’espe­rienza di emigrazione in Svizzera, tra spaesamento e razzi­smo più o meno velato, nacque nel ’72 il romanzo «Noi lazzaroni», da cui venne fuori uno sceneggiato Rai con la regia di Giorgio Pelloni e musiche di Ennio Morricone. «L’uomo in fondo al pozzo», dell’89, è un romanzo di fol­lia, di miseria e di esaltazione mistica, protagonista uno scrittore incompreso. Ora, a 86 anni, Strati, definito sem­plicisticamente l’ultimo neorealista sociale, vive a Scandic­ci in attesa che lo Stato gli dia una mano.