Maurizio Stefanini, Libero 28/04/2009, 28 aprile 2009
Una volta erano le grandi epidemie che ammazzavano milioni di persone. Da quella peste nera che all’epoca di Giovanni Boccaccio fece fuori tra un quarto e un terzo della popolazione europea dell’epoca, cioè tra i 25 e i 33 milioni di persone; fino a quella spagnola, subito dopo la prima guerra mondiale, in cui vi fu un numero di vittime almeno doppio di quello del conflitto appena concluso
Una volta erano le grandi epidemie che ammazzavano milioni di persone. Da quella peste nera che all’epoca di Giovanni Boccaccio fece fuori tra un quarto e un terzo della popolazione europea dell’epoca, cioè tra i 25 e i 33 milioni di persone; fino a quella spagnola, subito dopo la prima guerra mondiale, in cui vi fu un numero di vittime almeno doppio di quello del conflitto appena concluso. Qual è stato invece il bilancio degli ultimi grandi allarmi sanitari che hanno scosso l’opinione pubblica mondiale? Secondo le stime del 2007, dalla sua comparsa (...) (...) l’Aids aveva ucciso 2,1 milioni di persone, contagiandone 33,2 milioni. Eppure, anche all’Aids in qualche modo ci siamo abituati. Mucca pazza Avete invece presente la mucca pazza del 1994-96? In totale ci sono stati 190.369 casi, ma di animali. La variante umana ha colpito 183 persone: non è del tutto attendibile la cifra di solo 10 morti fatta dal Regno Unito nel 1996, perché di quel male si può perire a anni di distanza, e ancora nel 2008 si sono registrate un paio di vittime in Spagna. Comunque siamo nell’ordine delle decine: per un allarme tale che in Italia è costato al sistema produttivo due miliardi, è stata messa al bando per quattro anni la bistecca alla fiorentina, e tuttora sono fuori legge sia la pajata romanesca, sia la forma completa del tradizionale bollito misto piemontese. La Sars In seguito tra 2002 e 2003 c’è stata la Sars, provocata non più dai bovini ma dai volatili: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 8273 casi e 775 morti. 5328 casi e 349 morti nella sola Cina, dove il disastro dilagò per colpa della mancanza di trasparenza del regime totalitario comunista. In Europa ci furono in tutto 5 casi: uno in Russia, uno in Romania, uno in Svizzera, uno in Spagna e uno in Irlanda. Nessun morto. L’amministrazione di George W. Bush spese però 7 miliardi di dollari in vaccini, in Italia vennero stanziati 55,5 milioni di euro, e l’Unione Europea a sua volta assegnò alla relativa ricerca 150 milioni di euro. Anche qui, un rilevante danno al sistema produttivo in termini di animali abbattuti e crollo delle vendite: in Italia, almeno un miliardo. L’epizootica del 2001 Già dai maiali si era pure scatenata l’afta epizootica del 2001, anche se si era poi estesa soprattutto agli ovini. Oltre 10 milioni di bestie furono abbattute nel Regno Unito: non il protagonista del film Babe maialino coraggioso, graziato da un tribunale appositamente investito della questione. Va comunque ricordato che il numero di casi non aveva oltrepassato i 2.000. Nel resto d’Europa vi furono 25 casi in Olanda, uno in Irlanda, e due in Francia. Ripetiamo: non di persone infettate, ma solo di bestie. Solo falsi allarmi nel resto del Continente: compresa l’Italia, dove l’ultimo caso risale al 1993. Eppure il governo di Dublino per quell’unico caso registrato nel suo territorio fece saltare sia il Festival di San Patrizio che il jamboree mondiale dei Boy-Scout, mentre il torneo di Rugby delle Sei Nazioni veniva rinviato. Il latte alla melamina Da ultimo, ci fu nel 2008 l’allarme del latte alla melamina, che non era neanche una malattia, ma bieca sofisticazione. Magagne del regime comunista di mercato a parte, andrebbe ricordato che in Cina tradizionalmente i latticini non venivano consumati, al punto che gran parte della popolazione soffre di intolleranza genetica nei loro confronti. Comunque, nella cultura cinese esisteva una radicata avversione nei loro confronti: associati come sono stati per secoli ai popoli pastorali invasori della Cina, dai mongoli ai manciù. Insomma: meravigliarsi per la scadente qualità del latte cinese sarebbe davvero come stupirsi che facciano schifo i cotechini e i salami eventualmente esportati dalla Repubblica Islamica dell’Iran o dall’Arabia Saudita. Eppure, anche il latte alla melamina ha creato allarme. E adesso si aggiunge il nuovo allarme sulla A (H1N1) di Città del Messico: che indubbiamente ha ammazzato oltre un centinaio di persone; ma in una città dove dall’inizio dell’anno per problemi alla rete idrica stanno tagliando la somministrazione d’acqua per almeno qualche giorno al mese (lo rifaranno tra primo e 4 maggio). Ricordando che lì si ammassano 20 milioni di persone, si può forse concludere che magari quello che sta succedendo non è neanche troppo grave. Questi allarmi diciamo così ”alimentari” vanno comparati ad altre crisi sanitarie del Terzo Mondo dove davvero la gente sta morendo in quantità, anche se a livelli sempre inferiori rispetto alle grandi pandemie del passato: nello Zimbabwe devastato dal regime di Robert Mugabe il colera da agosto allo scorso 16 aprile ha ucciso 4201 persone, contagiandone 96.591; l’anno scorso tra Brasile, Argentina e Paraguay c’è stato un riaccendersi della febbre gialla che ha provocato 62 morti e oltre 600 ricoveri; e quest’anno dalla Bolivia si è estesa a gran parte dell’America Latina un’epidemia di dengue che avrebbe ormai oltrepassato i 100.000 infettati ed i 150 morti. Che colera, febbre gialla e dengue non rischino di finire nel piatto di europei e nord-americani spiega abbastanza il perché l’allarme per queste altre tragedie non stia all’altezza degli allarmi, diciamo così, ”alimentari”. E che poi in quei Paesi la capacità di spesa pro capite per medicine e media sia molto inferiore alla nostra ha pure un certo peso. Chi ci guadagna Certo, per società farmaceutiche ed editoriale che ci guadagnano, ci sono molti di più che ci possono rimettere. Tra zootecnia, viaggi e trasporti, i danni di una possibile pandemia erano stati stimati nel 2008 dal Fondo Monetario Internazionale in 3.000 miliardi di dollari. Il 5% del Pil mondiale.