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 2009  aprile 28 Martedì calendario

Notizie tratte da: Michael Hodges, Kalashnikov, il fucile del popolo. Scenari di un’arma senza frontiere, Marco Tropea Editore 2009, pp

Notizie tratte da: Michael Hodges, Kalashnikov, il fucile del popolo. Scenari di un’arma senza frontiere, Marco Tropea Editore 2009, pp. 251, 16,73 euro.

Rif. Libro in gocce sch. n. 1392321

Nel mondo sono attualmente in uso 70 milioni di kalashnikov (stima delle Nazioni Unite). Per comprarne uno non occorrono più di cento dollari.

Nel 2000 Michael McDermott, addolorato perché delle imposte arretrate gli sarebbero state trattenute dallo stipendio, sparò 49 pallottole del suo Ak47 contro i colleghi dell’Edgewater Technology in Massachusetts. Uccise sette persone prima di esaurire le munizioni, cosa che accade ben presto quando si mette un kalashnikov in modalità automatica.

Ak47. Le due cifre si riferiscono all’anno in cui fu inventato il fucile, la lettere A ne indica il tipo, avtomat (automatico). La K è l’iniziale del cognome del suo inventore: Michail Timofeevi Kalasnikov, ingegnere di umili origini che in quell’anno vinse la gara per la progettazione di un nuovo fucile d’assalto destinato all’esercito sovietico.

Al suo inventore l’Ak47 portò medaglie e riconoscimenti (due volte Eroe del lavoro socialista, Premio Stalin, Premio Lenin) ma soldi pochi. Non avendo copyright, gli toccò campare con una pensione statale di 300 dollari al mese (Eugene Stoner, inventore dell’M16, il fucile d’assalto dell’esercito americano, diventò milionario grazie ad un premio di un centesimo per fucile). Negli ultimi anni della sua vita guadagnò qualche soldo prestando il suo nome a una bottiglia di vodka.

Nell’estate del 2004 Vladimir Putin mandò a George W. Bush una bottiglia di vodka russa. La bottiglia, di cristallo, era a forma di kalashnikov (Bush, tra l’altro, è astemio).

Il kalashnikov è un fucile d’assalto composto da sole otto parti mobili, è economico da fabbricare, facile da usare, si smonta in meno di un minuto, si pulisce rapidamente, funziona in ogni condizione climatica, è indifferente alla polvere, si mantiene per decenni.

Un kalashnikov carico pesa meno di 4 chili, ha una capacità di fuoco di 650 colpi al minuto e in raggio d’azione di 300 metri.

Durante la guerra in Afghanistan, in seguito ai primi attacchi dei mujaheddin contro i convogli militari, i russi sfoltirono la vegetazione per un raggio di trecento metri su entrambi i lati di tutte le strade principali.

La canna di un kalashnikov è più corta di quella di un classico fucile ma più lunga di quella di una mitragliatrice. Ha il calcio di legno, l’impugnatura da pistola e una leva per selezionare le modalità di fuoco, automatica o semiautomatica. Il grilletto ingrandito per poter sparare senza togliersi i guanti. L’impugnatura di legno intorno alla canna principale. Sopra di questa c’è n’è un’altra parallela che in realtà è un tubo che convoglia il gas prodotto dallo sparo trattenendo l’energia utile ad azionare il pistone e sparare il colpo successivo. Le pallottole sono contenute nel caratteristico caricatore che si curva in avanti posto davanti al grilletto.

Come si smonta un Ak47: liberare la sicura del caricatore, rimuovere il caricatore, caricare il fucile, liberare la sicura all’altezza della tacca di mira, spingere in avanti il meccanismo di caricamento, smontare i vari componenti e l’otturatore.

Il grilleto di un kalashnikov deve essere tirato delicatamente perché retrocede più di quello di altri fucili prima di fare fuoco.

L’Ak47 fu inventato nelle fabbriche di fucili di Iževsk, città della Russia europea non lontana dagli Urali, adesso capitale delle Repubblica dell’Udmurtia. Oggi questi stabilimenti non ne producono più di tremila pezzi all’anno (gli americani ad esempio se li fanno fare in Bulgaria) e nei fabbricati rimasti vuoti sono stati aperti dei night club.

Michail Kalashnikov aveva progettato l’arma in modo che i contadini analfabeti del Kazakistan o della Siberia arruolati in fretta e furia potessero trovarla semplice da maneggiare. Trent’anni dopo a maneggiarla erano i bambini africani.

«Correvi in battaglia portando caricatori e sassi e ti nascondevi dietro la persona che avevi davanti. Lui sparava e poi correva di nuovo avanti, e tu la seguivi. Se veniva ucciso raccoglievi il suo kalashnikov. Quando era il nostro turno ci mettevamo a sparare con i nostri Ak e altri ci correvano dietro. così che sono andato in guerra» (il rapper sudanese Emmanuel Jal, ricordando quando, a 10 anni, era un soldato del Movimento per la Liberazione del Sudan).

In Mozambico e Algeria, durante le guerre anticoloniani, iniziarono a chiamare i figli ”Kalash”. Il movimento di liberazione mozambicano Frelimo dopo aver ottenuto l’indipendenza dal Portogallo nel 1975, esibì una nuova bandiera nazionale che conteneva un vomere, un libro e un kalashnikov.

Lo notte del 22 luglio 2003, quando si diffuse la notizia che gli americani avevano ucciso i figli di Saddam Hussein, Qusai e Odai, per festeggiare, nel cielo sopra Baghdad vennero sparati così tanti colpi di kalashnikov che piovvero pallottole. Almeno un soldato americano morì e un gran numero di iracheni rimasero feriti da proiettili che ritornavano giù a velocità raddoppiata.

«Nel 1982 gli israeliani ci hanno invasi e battuti di nuovo, hanno preso i nostri kalashnikov e li hanno messi in mostra in un parco pubblico vicino a Tel Aviv, in modo che le famiglie, passeggiando in mezzo ai kalashnikov, potessero essere certe che i terroristi erano stati sconfitti. Poi, dopo la mostra nel parco, gli israeliani diedero i kalashnikov alla Cia e la Cia li imbarcò su navi container e lì spedì in Pakistan. In Pakistan furono messi in casse caricate su muli, dopodiché i pakistani li mandarono al di là dei monti, ai mujaheddin dell’Afghanistan, per combattere contro i russi. Il primo kalashnikov che tenne in mano Bin Laden era un fucile palestinese che gli avevano dato gli americani, ai quali era stato fornito dagli israeliani» (Selim, sessantaduenne autista palestinese).

La carriera cinematografica di Bin Laden lo ha sempre visto sfilare con esemplari di kalashnikov.

«In Medioriente il kalashnikov rappresenta la resistenza. Per i giovani musulmani sensibili alle idee della jihad, maneggiare un Ak47 li ricongiunge a una grande formazione di combattenti attiva in Palestina, Afghanistan, Iraq e ad Al-Qaida. Non penso che qualcuno avesse veramente l’intenzione di passeggiare nel centro di Londra con un Ak47» (un inviato di guerra della televisione britannica nel giustificare il fatto che nella moschea di Finsbury park, nel nord di Londra, fossero presenti dei kalashnikov).

«La strada da percorrere non starà mai alle elezioni. La strada da percorrere è nelle munizioni. L’Islam è stato diffuso con la spada. Oggi deve essere diffuso con il kalashnikov» (Abdullah Faisal, predicatore islamico in Inghilterra, condannato a nove anni di prigione per incitazione all’odio razziale e apologia di omicidio).

«Ti insegnano a usare il kalashnikov, ma in realtà quello che vogliono da te è che tu faccia saltare in aria su un autobus o in metropolitana» (Rahim, giovane pakistano emigrato a Londra, dopo aver aver passato alcuni giorni in un campo di addestramento della jihad).

In visita a un’esposizione di Ak47 nel luglio 2002 a Suhl, nella Germania Orientale, Kalashnikov disse ai giornalisti: «Sono orgoglioso della mia invenzione, ma mi rattrista che sia usata dai terroristi. Avrei preferito inventare una macchina che le persone possano usare e che possa aiutare gli agricoltori nel loro lavoro, per esempio un tosaerba».

All’inizio di Rambo II: la vendetta un americano commenta l’armamentario che Rambo ha scelto per la missione: «Quella merda di Ak? Qualsiasi viet dodicenne ne ha uno». Al che Rambo risponde: «Proprio così».