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 2009  aprile 27 Lunedì calendario

COSI’ HO SALVATO LA NAVE DAI PIRATI


La nave da crociera italiana Melody - con 1.500 persone a bordo, fra passeggeri ed equipaggio - è stata attaccata da un’imbarcazione con sei pirati nella notte fra sabato e domenica. La Melody era diretta dal Sud Africa al Golfo di Aqaba, per poi rientrare in Italia. E’ stata attaccata a circa 300 chilometri a nord delle Seycelles. Il sangue freddo del suo comandante - capitano Ciro Pinto - che ha attuato subito manovre evasive, e la pronta reazione della sicurezza di bordo - che prima ha sparato in aria e poi ha attivato gli idranti per respingere i pirati che cercavano di salire a bordo - hanno sventato l’attacco. I circa 200 colpi sparati dai pirati hanno prodotto leggeri danni, ma fortunosamente nessuna vittima. Dopo una sparatoria durata circa cinque minuti, i pirati hanno desistito dal loro intento e si sono allontanati.
L’episodio pone ancora una volta in evidenza la crescente pericolosità della pirateria somala, nonostante la presenza in zona di una ventina di navi militari, appartenenti a vari paesi fra cui l’Italia. I pirati sono ora capaci di abbordare anche navi grosse in alto mare. Si avvicinano trasportando i suoi barchini veloci di attacco con imbarcazioni più grandi, generalmente con pescherecci catturati in precedenti attacchi. Si avvalgono poi di mezzi tecnici sempre più sofisticati, quali navigatori e telefoni satellitari. Gli attacchi si stanno intensificando, mentre l’aumento del raggio d’azione dei pirati rende difficile i controlli. Nel solo mese di aprile è stata catturata una dozzina di navi. Nella mani dei pirati e delle tribù somale da cui provengono sono una ventina di navi e circa 300 marinai. Ormai le acque della Somalia e del Golfo di Aden sono divenute le più pericolose del mondo. Hanno ereditato tale discutibile primato dagli Stretti della Malacca. In essi, la pirateria è stata pressoché eliminata. Gli Stati della regione ne hanno distrutto le basi a terra. Infatti, i pattugliamenti marittimi hanno un’efficacia limitata, anche per il ridotto numero di navi che vi possono essere impiegate. Il problema della Somalia è proprio questo. E’ a terra, non in mare. Il paese è nel caos dal 1991. Il governo non è in condizioni di contrastare la pirateria. Anche i circa 8.000 soldati dell’Unione Africana, schierati nel paese, non sono in condizioni di farlo. I pirati sono sostenuti dalle tribù che detengono l’effettivo potere in Somalia. Esse ricevono una parte dei riscatti. Un attacco con raids contro le basi dei pirati, per liberare le navi sequestrate e i loro equipaggi non è un’opzione. Sarebbe troppo pericolosa e troppo poco efficace. Gli ostaggi sono divisi in piccoli gruppi e custoditi nei villaggi dell’interno. Si rischierebbe una carneficina. I pirati poi si riorganizzerebbero rapidamente. Occorrerebbe inviare un corpo di spedizione internazionale, che occupi a lungo il paese. Nessuno considera però tale soluzione, anche per il ricordo di quanto avvenuto all’UNISOM nel 1993-94. La comunità internazionale sta cercando di aiutare il governo somalo a prendere il controllo del suo territorio e ridurre il pericolo ed i costi che la pirateria pone ad una delle vie marittime più utilizzate al mondo. Dalle acque somale, transita tutto il traffico destinato a Suez: ben 20.000 navi all’anno. L’aumento del braccio d’azione degli attacchi dei pirati accresce notevolmente i loro costi e rischi. Essi non possono essere ridotti né rafforzando la flotta - un controllo efficace richiederebbe centinaia di navi - né armando le navi mercantili, né facendole percorrere le acque pericolose in convogli scortati da navi da guerra. Il problema non può essere neppure risolto, come ha chiesto il presidente somalo, rifiutandosi di pagare i riscatti. Si metterebbe in pericolo la vita dei marinai catturati. Anche i circa 8.000 soldati dell’Unione Africana, schierati nel paese, non sono in condizioni di mantenere l’ordine. L’unica possibilità è quindi quella di sostenere il governo di Mogadiscio. A tal fine, il 23 aprile l’UE ha organizzato una conferenza dei donatori, che ha raccolto 250 milioni di euro per la Somalia.
Il problema del contrasto alla pirateria è reso difficile in Somalia anche dal fatto che non è ben chiaro a chi debbano essere consegnati i pirati catturati. La Somalia non è in condizioni di farlo. Essi non possono neppure essere processati dai paesi che li hanno fatti prigionieri. Gli USA e gli Stati europei si sono rivolti al Kenia, paese più vicino alla Somalia che dispone di un sistema giudiziario in grado di processare i pirati. Il Parlamento keniota, lo scorso febbraio, ha approvato una legge che consentirà di farlo. Essa non è però entrata in vigore, poiché non è stata ancora firmata dal presidente. Oggi, quando qualche pirata viene catturato, viene disarmato e lasciato libero. Nessuno sa cosa farne. Un’eccezione è costituita dagli USA. La prossima settimana inizierà a New York il processo contro il pirata sopravvissuto alla liberazione del il capitano di una nave americana. Gli USA lo fanno per la legge sulle extrordinary rendition, che - dal sequestro dell’Achille Lauro nel 1985 - consente al governo di catturare anche in territorio straniero e di far processare da un tribunale USA, chi abbia attentato alla vita di cittadini americani. Se il fenomeno della pirateria non potrà essere contenuto in qualche modo, dovrà certamente essere aggiornato l’attuale diritto marittimo, per evitare che al danno si aggiunga la beffa e che i pirati catturati vengano rimessi in libertà ed accolti come eroi dalle loro tribù. Anche i circa 8.000 soldati dell’Unione Africana, schierati nel paese, non sono in condizioni di mantenere l’ordine. Anche i circa 8.000 soldati dell’Unione Africana, schierati nel paese, non sono in condizioni di mantenere l’ordine.