Pino Buongiorno, Panorama, 29 aprile 2009, 29 aprile 2009
PINO BUONGIORNO PER PANORAMA 29 APRILE 2009
Gladio turca: una caccia alle streghe contro gli intellettuali L’inchiesta sulla rete clandestina accusata di ordire un golpe contro il governo di Erdogan si allarga a esponenti laici. E l’opposizione teme lo strapotere islamico.
Ora litigano anche nel governo. Da una parte il ministro della Cultura e del turismo, Ertugrul Gunay, preoccupato per i troppi mandati di cattura contro anziani accademici di forte impronta laica e nazionalista, e per le incessanti perquisizioni di organizzazioni non governative e anti-islamiche. Dall’altra il ministro della Giustizia Mehmet Ali Sahin, che difende a spada tratta l’operato dei giudici di Istanbul, ”indipendenti e imparziali”. Si può rafforzare la democrazia per via giudiziaria? il quesito che assilla la Turchia, guidata dall’Ak parti, partito islamico moderato al potere da sei anni, nel momento in cui riprende il negoziato per l’adesione alla Ue.
La dodicesima ondata di arresti per un presunto complotto contro il governo di Recep Tayyip Erdogan, che questa volta ha colpito noti intellettuali, fra cui quattro rettori di università, sta polarizzando l’establishment politico ed economico, i giornali, la tv e la società. Colpa di Ergenekon, un’organizzazione segreta ultranazionalista, che prende il nome dal luogo mitologico dell’Asia centrale dove sarebbe nata la prima tribù turca, approdata sotto la guida di un lupo grigio in Anatolia. Da quando, due anni fa, è esploso il caso giudiziario, 235 fra generali, spie, editori, giornalisti, avvocati, imprenditori, professori universitari e killer di professione sono finiti nel carcere di massima sicurezza di Silivri. Molti sono stati rilasciati senza nemmeno sapere quali erano le accuse. Ottantasei imputati sono finiti sotto processo con un rinvio a giudizio di 2.455 pagine. E tanti altri restano in attesa. ”I metodi giudiziari approssimativi hanno prodotto come risultato detenzioni ingiuste. Ma il caso rimane terribilmente serio” sintetizza Hugh Pope, saggista e analista dell’International crisis group.
Che esistesse una misteriosa società segreta chiamata Ergenekon il premier Erdogan, 55 anni, venne a saperlo mesi dopo aver vinto le elezioni nel novembre 2002. Fu l’intelligence della polizia turca, alle dipendenze del ministero dell’Interno, a presentargli un dossier con le dichiarazioni di una sedicente spia del Mit, il servizio segreto militare. Si chiamava Tuncay Guney, alias agente Ipek. Oggi il testimone chiave, che sostiene nel frattempo di essere diventato rabbino, vive in esilio in Canada, da dove continua a fare dichiarazioni a orologeria, in genere quando il governo è più in difficoltà.
Fu solo nel giugno 2007, con la scoperta fortuita di una cassa di granate in uno dei più poveri quartieri di Istanbul, che le indagini furono avviate ufficialmente. Emerse che le granate facevano parte di uno stock in dotazione ad alcuni ufficiali dell’esercito appartenenti a quello che i giornali turchi chiamarono subito il ”derin devlet”, lo stato profondo: una rete clandestina di individui e organizzazioni con agganci nelle forze armate che conducevano operazioni segrete contro i nemici, veri o presunti, della Turchia. ” la Gladio del Bosforo” titolarono diversi quotidiani, rifacendosi al gruppo paramilitare organizzato nel dopoguerra dalla Nato in Italia in funzione anticomunista. Per certi versi l’origine di Ergenekon è simile: bloccare l’avanzata dell’esercito sovietico. Ma, dopo il crollo del Muro di Berlino, lo stato profondo ha incluso fra i suoi obiettivi il Pkk, il partito dei lavoratori curdi, accusato di efferati atti di terrorismo. Quando, alcuni anni dopo, il Pkk ha cominciato a indebolirsi, il nuovo nemico è diventato il partito filoislamico che stava per vincere le elezioni e che si proponeva di portare la Turchia nell’Unione Europea erodendo così ”la sovranità turca”.
Lo strumento utilizzato è stata la strategia della tensione dai connotati bizantini: una serie di attentati contro la Nato, i giudici e i giornali secolari, omicidi mirati e intimidazioni per provocare il caos e far intervenire l’esercito, custode della tradizione laica del fondatore della Turchia moderna, Mustafa Kemal Atatürk. Come già era successo nel 1960, nel 1971, nel 1980 e nel 1997. Sarebbero stati i membri di Ergenekon a minacciare di morte nel 2006 il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, costringendolo alla fuga a New York. Nella lista nera sarebbe finito anche il sacerdote italiano Andrea Santoro, ucciso in chiesa il 5 febbraio 2006. I killer assoldati dall’organizzazione avrebbero poi trucidato il 19 gennaio 2007 il giornalista armeno Hrant Dink.
Quando l’offensiva ha toccato il culmine, Ergenekon è stata smascherata. Quasi un regalo per il governo di Erdogan, perché confermava le teorie sulla cospirazione antiislamica lanciate da esponenti dell’Ak parti e dai giornali amici. Sul fronte opposto, un immenso imbarazzo per le forze armate, con i suoi generali in pensione, come Veli Kucuk, che finivano in galera o si suicidavano, come il colonnello Abdülkerim Krca. ”Un golpe politico” lo ha bollato il capo dell’opposizione Deniz Baykal, il leader del partito socialdemocratico Chp, secondo il quale ”con il passare del tempo l’inchiesta giudiziaria non è più focalizzata su Ergenekon ma su tutti coloro che si oppongono al regime di Erdogan”.
Man mano che il caso Ergenekon si allarga, il governo e il partito islamico devono convincere l’opinione pubblica che l’inchiesta della polizia antiterrorismo non è una caccia alle streghe contro gli oppositori. Anche perché alcuni editorialisti dei quotidiani laici, nel corso del recente media forum Italia-Turchia, hanno manifestato il sospetto che allo stato profondo dei militari rischi di sostituirsi lo stato profondo degli islamici.