Alberto Papuzzi, La Stampa, 25/4/2009, 25 aprile 2009
CHE INGRATA L’ITALIA: M’HA CONSOLATO KAFKA
Il suo ultimo libro, La morsa, edito da Chiarelettere, che arriva nelle librerie in questi giorni, rappresenta una sintesi di quelle che lei chiama le sue due vite: prima economista superspecializzata (in mercati obbligazionari internazionali), quindi superconsulente di terrorismo per le polizie di tutto il mondo. Infatti la morsa è quella che ci stritola fra gli incubi degli attentati da una parte e la crisi finanziaria dall’altra. «Distratti da Al Qaeda, derubati dall’alta finanza», recita il sottotitolo. Lei si chiama Loretta Napoleoni, è cresciuta a Roma, ha 54 anni, maltrattata dall’Italia è riparata all’estero, facendo una carriera straordinariamente brillante. Fra i suoi libri precedenti, Economia canaglia e I numeri del terrore (entrambi dal Saggiatore). Dell’ultimo dice: «Vuole aprire gli occhi sulle ragioni del disastro che ci incastra».
Apriamoli allora. Può spiegare ai lettori che cosa è successo veramente e qual è il nesso fra economia e terrorismo che secondo il suo saggio rischia di stritolare il globo?
«Responsabile del disastro è la politica americana dopo l’11 settembre. Per finanziare la guerra in Afghanistan e in Iran, e finanziare l’ossessivo bisogno di sicurezza del cittadino medio, gli americani hanno aumentato a dismisura il deficit di bilancio. E lo hanno fatto all’estero nel senso che invece di chiedere i soldi al Congresso, che non glieli voleva dare, hanno venduto buoni del tesoro americani all’estero e i grandi sottoscrittori sono stati la Cina e il Giappone. Ma per essere competitivi sul mercato internazionale hanno tagliato i tassi d’interesse: è questa politica che ha dato alla bolla finanziaria americana una dimensione enorme. Infatti la nascita dei famigerati mutui subprime come la vendita aggressiva delle carte di credito avvengono dopo l’11 settembre, a partire dal 2002. E’ tutta una concomitanza dovuta al finanziamento della politica bellica».
Parliamo di lei: perché una carriera tutta all’estero? E’ stata una scelta o è stata giocoforza?
«Io un lavoro in Italia non lo trovavo. Dopo la laurea a Roma nel 1978 ho fatto tutti i concorsi possibili e immaginabili, passavo sempre lo scritto e non passavo mai l’orale, perché chiaramente non avevo nessuna conoscenza né raccomandazione. Allora ho fatto domanda per la borsa Fullbright, ho vinto la Fullbright, sono andata in America e ho detto addio all’Italia. Dove non è che fossi felice di stare: perché andavo all’università con persone ancora amiche che vedevo entrare in ministeri, banche e via dicendo, grazie alle spinte di padri, zie, fratelli eccetera. Non è carino vivere in un Paese così, le pare?».
Peraltro, all’estero, lei ha fatto una carriera fulminea…
«Sì, all’estero ho fatto una carriera che in Italia non sarebbe stata possibile. Lavoravo alla Banca nazionale d’Ungheria, quando ho risposto a un annuncio del Tesoro americano sull’Economist per un posto a Londra. M’hanno preso, ma la settimana prima di iniziare un cacciatore di teste mi ha contattato per un posto alla Mosconarodny Bank, famosa perché è stata la prima banca a riciclare i petrodollari. Cercavano una persona che avesse le specializzazioni in tema di economia dei Paesi socialisti che io avevo. E offrivano il doppio di stipendio. E’ stata una grande opportunità perché io lavoravo direttamente per il Cremlino. Poi, da là, dopo qualche anno, un altro cacciatore di teste mi ha cercato per uno stockbroker internazionale: facevo l’oro, la Svizzera e la Francia, come mercati sempre sull’obbligazionario, mai sull’azionario».
Come salta fuori la collaborazione con vari governi, forze di polizia e forze armate, in tema di terrorismo?
«Il fatto è che io ho vissuto due vite. Quella nelle banche è stata la mia prima vita. Poi nel ’92 alcuni membri delle Brigate Rosse (fra cui Curcio e Moretti) hanno dichiarato la fine della lotta armata, decidendo di raccontare la loro storia. Io avevo un’amica d’infanzia che era la talpa di Palazzo di Giustizia. In più avevo rapporti che risalivano al movimento femminista. Mi è stato proposto, dal loro interno, di instaurare un dialogo. A quel punto ho dovuto prendere la decisione di cambiare professione: sono andata alla London School of Economics e ho chiesto di fare un Phd sul terrorismo. Ho conosciuto uno dei primi esperti di studi nella materia. Ho lavorato tantissimo con l’Università di St. Andrews, dove c’era il centro di studi britannico sul terrorismo. Così è cambiata la mia vita. Poi Osama Bin Laden ha buttato giù le due torri…».
E lei ha scritto fiction, ha pubblicato dei thriller.
«Ho scritto due romanzi, per spiegare le cose con la narrazione. Il primo è tutto sugli anni neri, il ’77- ’78, gli anni di piombo; l’altro è un thriller finanziario dove racconto come Saddam Hussein si autofinanziasse per comprarsi i pezzi di ricambio del famoso reattore nucleare».
Senta, ma perché gli economisti non sono in grado di prevedere crisi catastrofiche come quella attuale?
«Non è vero. In Economia canaglia cito un amico, George Magnus, capo dell’Ufficio studi dell’Ubs, il quale mi dice: "Guarda, la situazione della bolla finanziaria è gravissima, prima o poi esploderà". Non è vero che non possano prevedere. Ma la maggior parte di loro, me compresa, è finita dentro le banche, le quali fanno ponti d’oro, offrendo possibilità di lavoro e guadagno che nessun altro può offrire. Così uno s’incanala in un settore e poi finisce per avere i paraocchi. La storia della bolla Magnus l’ha raccontata a me, ma non al consiglio di amministrazione di Ubs: non l’avrebbero nemmeno presa in considerazione. Il mercato finanziario vive sul quotidiano, esiste soltanto il breve periodo, mentre la bolla è un fenomeno che si crea nel lungo periodo».
Che tipo di lettrice è lei? E’ stata, è tuttora una grande lettrice, o invece non ne ha il tempo?
«Grande lettrice, con il problema che quando inizio un libro devo finirlo. Subito. Sono stata al Festival di Sydney, dove una giovane scrittrice inglese, Sarah Hall, ha letto un brano del suo ultimo libro, The Carchulian Army, che parla di temi legati al terrorismo, in un futuro di radicali cambiamenti del mondo. Bellissimo. Mi sono detta che dovevo leggerlo subito. Per cui sono stata sveglia tutta la notte».
Ci dice uno, due o tre libri che hanno contato nella sua formazione?
«Prima di tutto Jane Austen, che ho cominciato a tredici anni, con Orgoglio e pregiudizio. Ne fui così conquistata da ripromettermi di andare a vivere in Inghilterra. La cosa bella è che descrive un mondo in cerca di equilibrio, mentre io sono cresciuta in una società che è sempre stata in disequilibrio. Nella Austen c’è questa Inghilterra dell’onestà, della giustizia, dei principi, dei valori. Poi Le memorie di Adriano, dove ho imparato che il potere assoluto non serve a nulla, il vero potere è quanto uno ha dentro di sé. Infine Le metamorfosi, dove comprendi come tutto possa essere solo un’apparenza. Quando ero depressa perché non vincevo nessun concorso andavo a rileggere la biografia di Kafka e mi dicevo: be’, se è successo a Kafka, io che cosa pretendo?».
Un libro recente?
«I figli della mezzanotte di Salman Rushdie, perché c’è il realismo magico che spiega molte cose altrimenti impossibili da spiegare, e lascia affiorare il contrasto religioso fra indù e islamici. Capisci come gli arabi della Jihad e di Al Qaeda pensino di vivere ancora nell’ottavo secolo e di combattere a fianco di Maometto nella battaglia fra La Mecca e Medina».
L’ultima domanda sul suo cognome, lo stesso dell’economista Claudio Napoleoni: parente, maestro, che altro?
«Niente. Ho studiato sui suoi testi, ma non l’ho neppure incontrato. Però sua figlia mi ha mandato una e-mail intitolata "Presunti parenti", dove mi scrive: "Siccome tutti ci considerano sorelle, penso che dobbiamo presto vederci"».