Emanuela Fontana, il Giornale 27/4/2009, 27 aprile 2009
TERREMOTO, DAL 6 APRILE SEMPRE IN CASA A TRADURRE VERSI IN LATINO
Credevano di trovarla morta di paura. I vigili urbani e i pompieri hanno sfondato un vetro per raggiungerla. Di lei non si avevano notizie dopo il terremoto della notte tra il 5 e il 6 aprile, anche se il fratello Riccardo una sua idea se l’era fatta. Esternamente il palazzo era intatto, come il vano-scale e il corridoio. Questo succedeva il giorno dopo la scossa più violenta che ha devastato L’Aquila. Quando sono entrati di colpo nella casa di Adriana Ricci non solo l’hanno trovata in salute, ma con un vocabolario di latino tra le mani, impegnata a tradurre versi antichi.
Dalla sua casa lei non se n’è andata mai: lo assicura placidamente dal davanzale del suo appartamento insieme al fratello che passa il tempo a prenderla in giro. Quella sera del 6 aprile, alle tre e trentadue di notte, quando tutti gli abitanti dell’Aquila correvano nella polvere per la strada per scappare dai muri che tremavano, lei stava nel letto ad aspettare.
Adriana Ricci ha 81 anni, è un ex insegnante di latino e greco, e abita in viale Alcide de Gasperi, al quartiere Torrione, uno dei più integri dopo la scossa che ha devastato L’Aquila, benchè si trovi ad appena trecento metri dal centro storico. Non ha tanta voglia di parlare, quello che ha fatto non le sembra niente di speciale: «Non avevo paura nemmeno durante i bombardamenti durante la seconda Guerra mondiale - esclama orgogliosa dalla finestra - Lei non ha studiato! Non sa che qui ci sono state le bombe!». Il fratello interviene, più conciliante: «Ma sì che lo sa, lo sa. Non dire così».
Adriana Ricci continua a ripararsi dietro il suo muro di diffidenza. Sta affacciata, concede qualche parola, ma nella sua casa non fa salire nessuno. Ci hanno provato in tutti i modi a farla andare via di lì. Anche la badante, una ragazza dell’Aquila, l’ha abbandonata. La notte del terremoto è scappata via come tutti, anche se la palazzina di via De Gasperi 8 ha retto in modo eccezionale. Ora la ragazza sta tornando. Si è convinta che le mura sono robuste.
Questa casa in effetti dal di fuori non ha nemmeno una crepa, come se il terremoto non l’avesse neppure sfiorata.
La signora Adriana era nel suo letto quando ha sentito la stanza tremare: «Ho aspettato che finisse», alza le spalle. E così ha fatto per tutte le scosse successive, quelle di forte assestamento dei primi giorni. Alla spesa, le poche cose trovate in un negozio aperto in questa via, ha provveduto il fratello. Lei non ha mai voluto uscire. Solo dopo qualche giorno, guardando la televisione, si è resa conto che trecento persone erano morte. Ma lei non ha nessuna paura, anzi, c’è un gusto di sfida nella sue parole offese: «Posso decidere io come morire? E io ho deciso che me moro nella mia stanza!».