Stefano Semeraro, La stampa 27/4/2009, 27 aprile 2009
LE MIE DONNE E L’AZZURRO UNA QUESTIONE DI FEDE"
Tre finali in quattro anni da capitano di Fed Cup. In Coppa Davis, da giocatore furono quattro, e una vittoria: Barazzutti ci spiega come da «soldatino» è diventato seduttore, l’uomo delle donne?
«Più che altro ho avuto la fortuna che queste straordinarie ragazze mi hanno accettato come capitano. E da questa fortuna non faccio che trarre benefici. Queste finali sono tutto merito loro, sono loro che vanno in campo. Io sono solo fiero di loro e del rapporto che abbiamo instaurato».
Qual è il segreto di questa alchimia?
«Il segreto è che le ragazze si sono fatte prendere dalla maglia azzurra, dal giocare per la Nazionale. E che sono fortissime, perché altrimenti non si vince. una questione di fede, non ho paura ad usare questa parola. Io ce l’avevo già da giocatore, in Davis soffrivo come un cane e l’ho mantenuta da capitano. E per loro è lo stesso. E le giovani che man mano entrano nel gruppo se ne fanno contagiare, è la regola».
I maschi di Coppa Davis, dove il «pastore d’anime» è sempre lei, allora, sono un po’ miscredenti...
«Non è questione di maschi e di femmine. una questione individuale. Ci sono preti che prendono i voti per vocazione, altri che lo fanno senza la stessa intensità. Ma io non voglio giudicare, non si tratta di essere migliori o peggiori. La fede la si ha. Difficilmente ce la si può dare».
In Fed Cup siamo fortissimi, nei grandi tornei stentiamo: come mai?
«Non è vero che nei tornei siamo scarsi. La Pennetta e la Schiavone hanno raggiunto i quarti in tornei dello Slam, la Vinci ha appena vinto un ottimo torneo come Barcellona. Vittorie contro grandissime giocatrici ne abbiamo conquistate anche al di fuori dalla Fed Cup: la Schiavone con la Henin, la Pennetta con Venus Williams. E la Vinci ha avuto un matchpoint con la Jankovic. solo che in Coppa le ragazze sono più puntuali: non sbagliano un colpo».
Merito del capitano, allora?
«No, e lo ripeto: in campo vanno loro. Io cerco solo di dare serenità all’ambiente e di fare delle scelte. La grandezza di questo gruppo sta anche nel fatto che le ragazze non mettono mai in discussione le mie scelte, neppure fra di loro. anche per questo se sono entrate nella leggenda dello sport italiano».
Più emozionante vincere la Davis da giocatore o la Fed Cup da capitano?
«I brividi più forti li ho provati da capitano, non c’è dubbio. Non si possono paragonare le emozioni di chi gioca e di chi sta fuori. In panchina è sofferenza pura».
Suvvia, non ci dica che vincere la Davis non è stato bello da morire...
«Bellissimo. Ma da capitano mi emoziono di più. Ad esempio negli ultimi due giorni con la Russia: essere avanti 2-0 e sapere che il terzo punto era comunque difficilissimo da conquistare, la paura che tutto si guastasse. Ho rischiato davvero di lasciarci le penne».
Oggi iniziano gli Internazionali d’Italia: cosa la lega al torneo del Foro Italico?
«Il rimpianto. Panatta, Bertolucci, Zugarelli, i miei compagni di Davis di allora a Roma sono riusciti a fare bene, io mai. Al massimo i quarti di finale. Facevo bene in America, arrivavo a Roma e toppavo, non ho mai capito perché, poi magari giocavo benissimo a Parigi. Ora spero solo di vedere i nostri fare benissimo quest’anno».
Mica facile, visto soprattutto l’inizio anno dei maschi. Fra il successo di Panatta e la semifinale di Volandri 2007 ci sono stati trent’anni di delusioni...
«Non è vero che il tennis italiano è andato così male dopo di noi. Tutti si dimenticano che nel ’98 abbiamo giocato una finale di Davis, una semifinale nel ’96. Poi le ragazze anche a Roma si sono difese. E ora abbiamo giocatori come Bolelli, Seppi, Starace, Fognini, lo stesso Cipolla che è molto divertente da guardare, che possono fare bene».
Bolelli, appunto. Che in Davis non gioca: squalificato a vita. Le pare giusto?
«Io posso solo dire che sarei molto contento se tornasse a giocare per la Nazionale. Però ricadiamo nel discorso di prima: uno deve volerlo. Ci vuole la fede. Giocarla tanto per giocarla non serve a nulla».
Parliamo dei big. Ci fa una sua classifica personale?
«Primo Nadal, secondo Murray, terzo Djokovic. Federer quarto, ma solo per il grande rispetto che ho per lui. in un momento difficile, forse non ha più tante motivazioni. E quando sei a quel livello è un attimo: ti distrai, e ti sbranano. Come accadde a Borg con l’arrivo di McEnroe: gli si aprì una falla dentro. Nadal è stato lo stesso per Federer. Poi Murray è cresciuto moltissimo in fretta. Dietro di loro metterei Del Potro».
Lei è stato un grande «terraiolo». Come avrebbe affrontato Nadal?
«Al mio modo, scambiando da fondo. Come accadeva con Higueras, magari avremmoo giocato 6 ore. E alla fine avrebbe comunque vinto lui. Troppo forte».
A settembre sarà più importante vincere la finale di Fed Cup o tornare in A in Coppa Davis?
«Tutte due le cose. Io lavoro per vincere, sempre».
Il compito più difficile, allora?
«Glielo dirò quando saprò l’avversario per lo spareggio di Davis. E poi dipende anche da che squadra americana ci troveremo di fronte in Fed Cup. Sicuramente giocheremo sulla terra, e le Williams verranno dal cemento di Doha. Chissà, magari andranno in vacanza...».