Alberto Mattioli, La stampa 27/4/2009, 27 aprile 2009
LA MUSICA COSTA? FACCIAMONE DI PIU’"
Il più grande direttore d’orchestra del mondo, e questo è un parere personale, la bacchetta con il curriculum più prestigioso, e questo invece è scritto nei fatti, parla nel salottino di un albergo torinese della collina, davanti a un enorme Savoia corazzato e imparruccato. Incombono le prove del Requiem di Mozart, domani e dopo ai Concerti del Lingotto con la Mahler Chamber Orchestra, lo Swedish Radio Choir e un bel quartetto di solisti (Rachel Harnisch, Sara Mingardo, Saimir Pirgu, Christoph Fischesser). Da quando gli hanno portato via mezzo stomaco, Claudio Abbado da magro è diventato magrissimo. Ma appare in gran forma e sfodera una perfetta abbronzatura, incongrua in una primavera torinese che sembra un novembre particolarmente umido: «Ma io vivo in Sardegna e prendo il sole mentre mi occupo delle mie piante». Il maestro dal pollice verde una volta lo confessò: «Nel fondo del cuore, penso di essere solo un giardiniere».
Sul letto di morte, Voltaire rispose a chi gli chiedeva cosa avesse fatto nella vita: ho piantato molti alberi.
«Ecco, vede?»
E per 90 mila alberi, nel giugno 2010, tornerà a dirigere alla Scala.
«Il centro di Milano ha così bisogno di verde...».
Gli alberi da soli non spiegano una decisione così clamorosa. Forse è anche cambiato qualcosa alla Scala.
«Stéphane Lissner è molto bravo e sta facendo delle ottime cose. E poi alla Scala sono tornati molti miei amici, Barenboim, Boulez...»
Lei sa che quando risalirà su quel podio per molti sarà un’emozione fortissima.
«Anche per me. Già lo è stato rientrare in teatro. E ritrovare molti vecchi amici, che del resto mi sono sempre venuti a sentire fuori. Per esempio, Ernesto Schiavi, violinista e direttore artistico della Filarmonica».
Dopo il restauro, l’acustica com’è?
«Io ho solo visto il teatro, ma non ci ho ancora ascoltato nulla. Maurizio Pollini mi ha detto che è migliorata».
Intanto, c’è il Lingotto. Una sala in qualche modo «sua»...
«Ricordo il concerto con i Wiener nell’ex padiglione delle presse. E poi il progetto di Piano, la bellissima sala grande, l’inaugurazione con i Berliner... Ed è nato il Lingotto, che non è solo una sala da concerti ma un vero, completo centro culturale. stato un grande successo, credo».
Dopo una vita nella musica, ha qualche rimpianto?
«Moltissimi. Per esempio, ho appena riascoltato delle sinfonie di Haydn che incisi molti anni fa. Mi piacerebbe rifarle e credo che lo farei in maniera tutta diversa. Il punto è che non c’è il tempo per tutto. E allora l’importante è affezionarsi e appassionarsi a quel che si sta dirigendo in quel momento».
Progetti con la sua Orchestra Mozart?
«Tengo moltissimo alle celebrazioni per i trecento anni di Giovanni Battista Pergolesi, che non ha scritto solo lo Stabat Mater. Dirigerò e inciderò molta sua musica. Pergolesi morì a soli 26 anni, non fece letteralmente in tempo a scrivere di più. Ma è importantissimo, ebbe una grande influenza su Bach e Mozart».
Dopo il Fidelio si rimetterà all’opera?
«Faremo ancora Fidelio, a Lucerna nel 2010 e in disco. Canteranno la Stemme, la Harnisch, Kaufmann e Pape. O Fischesser».
A Lucerna quest’estate aprirà dirigendo la cinesina Yuja Wang. davvero una pianista così formidabile?
«L’ho scoperta in tivù, nella Sonata di Liszt. La tecnica è notevolissima, è chiaro, ma mi ha colpito la tensione che sprigionava, la personalità così netta. Ed è ancora giovanissima».
Dopo Daniel Harding e Gustavo Dudamel, è il venezuelano Diego Matheuz il nuovo giovin direttore «abbadiano»?
« un grande talento. E un frutto del sistema messo in piedi in Venezuela da Josè Antonio Abreu, cioè la più grande, rivoluzionaria idea musicale degli ultimi decenni. Finora Abreu ha educato alla musica 300 mila giovani, sottratti alla povertà e alla violenza dei barrios, ragazzi che maneggiano uno strumento invece di una pistola. Quando suonano in orchestra danno l’anima, senza restrizioni, orari, regole sindacali. Impazziti per la musica. La Scuola di Fiesole ha invitato Abreu. Vorrei che in ogni regione italiana ci fosse una città dove sviluppare questo sistema».
Restiamo all’estero. Obama ha aperto a Cuba. Lei è uno dei pochi castristi non pentiti...
«Penso che certi aspetti del sistema siano ammirevoli e che molte critiche siano fatte senza conoscere i fatti. A Cuba, per esempio, il sistema scolastico è ammirevole, un modello per tutti. Ma nessuno lo dice. Sa qual è una delle maggiori esportazioni di Cuba? I medicinali, e molti vanno in Africa gratis. Ma nessuno lo scrive».
Però c’è il rovescio della medaglia, le violazioni dei diritti umani, i gulag...
«Ma dove? Quali?»
Insomma, Obama ha fatto bene.
«Mi sembra giusto cercare il dialogo. A Cuba ci sono persone aperte che potrebbero portarlo avanti. Per esempio, un’ottima idea è quella di permettere alle famiglie che vivono in America di tornare all’Avana per restaurare le loro vecchie, bellissime case».
L’ondata di entusiasmo e di speranza che ha accompagnato nel mondo l’elezione di Obama è giustificata?
«Ascoltando i suoi primi discorsi, mi sembra di sì. E trovo molto positivo che abbia chiuso Guantanamo. Certo, rispetto al suo predecessore non ci voleva molto... Ma io non ho titoli particolari per dare un giudizio. Sono solo un cittadino che gira molto per il mondo e cerca di tenersi informato».
Delle polemiche italiane sui costi della cultura cosa dice?
«La reazione che ho sempre avuto davanti a chi dice che la cultura costa troppo è quella di farne di più. La risposta deve sempre essere positiva. Se qualcuno si qualifica dicendo che la cultura non rende si squalifica da sé. Ma bisogna ribattere con i fatti».
Non sembra che la politica sia molto attenta alla cultura in generale e alla musica in particolare.
«Diciamo che sarebbe auspicabile un maggior interesse da parte di tutti. L’Italia ha una tradizione troppo importante perché vada persa. Ma comunque qualcosa si muove, anche se qualche città o regione si muove di più. Però, per esempio, il festival su Gesualdo che abbiamo fatto in Basilicata è stato importante, le manifestazioni su Pergolesi anche. Giorgio Napolitano, per esempio, ci ha subito appoggiato».
Il Presidente è notoriamente un suo ammiratore. Se la nominasse senatore a vita, accetterebbe?
«Senatore io? No».
Perché?
«Perché quando faccio una cosa mi piace farla bene, seguirla fino in fondo. E trovo appena il tempo per dedicarmi alla musica».
Se però c’è qualcuno che «ha illustrato la Patria», come dice la Costituzione, è lei.
«Non esageriamo. Ho fatto delle cose per la musica, tutto qui».