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 2009  aprile 27 Lunedì calendario

IL TRAFFICO LIQUIDO


Viaggiando per le strade del Nord Italia durante le recenti vacanze di Pasqua, mi sono accorto che la proliferazione delle rotonde non si arresta, anzi, procede spedita. Là dove un anno o due fa c’erano ancora i semafori a disciplinare gli incroci, ora sono apparse le rotatorie, mentre di nuove ne vengono apprestate ovunque, modificando sovente il profilo dei luoghi. Spesso le rotonde si realizzano a svantaggio di spazi privati e pubblici, demolendo muri di cinta, spostando strade, distruggendo giardini privati, erigendo muraglioni di cemento armato, costruendo cordoli e pavimentazioni in sampietrino rosso e grigio. Qualche volta s’abbattono alberi, vecchi platani perlopiù, per poi piantare ulivi o pini al centro, o sui bordi, delle rotonde medesime.
Il semaforo non è più di moda. Nato come strumento marittimo - «stazione costiera per vedetta e comunicazione in grado di trasmettere messaggi ottici per le navi» (DELI, Zanichelli) -, verso gli Anni Venti e Trenta si è imposto come strumento per disciplinare il traffico di veicoli e pedoni agli incroci stradali. In Italia è registrato con questo uso nel 1935, mentre la regola dei tre colori viene fissata nel 1936 dal Comitato permanente della circolazione stradale della Società delle Nazioni dopo un periodo di incertezza.
La scorsa estate è morto quello che è comunemente considerato il creatore delle rotonde: Frank Blackmore, un inglese. In giugno lo hanno celebrato articoli di giornale, ricordando la sua strana carriera d’inventore bizzarro, e persino di spia. La sua prima idea della rotonda sembra sia del 1959, la prima realizzata del 1969. I commentatori hanno sottolineato l’aspetto monomaniaco di Blackmore, ma anche la funzione positiva che hanno avuto le rotonde nell’evitare incidenti e nel rendere più fluido il traffico. In realtà il primo ad avere l’idea di realizzare delle rotatorie è stato Eugène Hénard, l’architetto parigino che ha modernizzato le strade francesi.
Il primo schema di rotatoria è stato disegnato da Hénard nel 1903-04 e realizzato a Parigi nel 1905. Il suo scopo è di ridurre i movimenti pericolosi negli incroci, soprattutto di far scomparire i punti di conflitto al centro dell’incrocio stesso. Marc Desportes lo racconta in un recente volume, Paesaggio in movimento (Scheiwiller) e fa un paragone interessante: accosta il girotondo meccanizzato delle rotatorie al taylorismo applicato nelle fabbriche: «L’organizzazione del traffico attorno a una rotonda fa sembrare la marcia del pedone e dei vecchi veicoli un balletto disordinato». In strada come alla catena di montaggio.
Se la rotatoria nasce e s’afferma nell’epoca dell’automazione, oggi invece a cosa si deve la sua vittoria sui semafori? Alla necessità di fluidificare - la società liquida di Zygmunt Bauman -, di non arrestarsi mai. Meglio, di non dover riflettere, di non dover decidere: si entra nella rotatoria, si gira, si gira, e non si esce più. La rotazione su se stessi come condizione attuale? Le rotonde come effetto del narcisismo di massa tipico di questa età? Un’ipotesi da non scartare.