Gianluca Paolucci, La stampa 27/4/2009, 27 aprile 2009
ITALIANI A DETROIT? SE LAVORIAMO SIAMO I BENVENUTI"
Spero che trovino un accordo. E spero che arrivino tanti italiani qua e che prendano i miei taxi». A Auburn Hills, sobborgo di Detroit fatto di capannoni e motel dove la Chrysler ha il suo quartier generale, ciascuno ha una buona ragione per sperare in un esito positivo della trattativa in corso tra Fiat, Chrysler, Tesoro Usa, sindacati e creditori. La ragione di Sean, 32 anni, è la sopravvivenza della sua piccola compagnia di taxi qui a Auburn Hills.
Gli stranieri, una risorsa
La clientela è fatta, racconta, per l’80% da stranieri portati nel cuore del Michigan industriale dall’industria dell’auto. Non solo Chrysler, che col suo palazzone sovrastato dalla stella a cinque punte domina un paesaggio fatto di costruzioni basse e ampi spazi. Ma anche Delphi - pezzi di ricambio - poco distante. E altre decine di società più o meno grandi dell’indotto, che lavorano per anche Gm, per i giapponesi, per i tedeschi.
A mezz’ora di autostrada, nel centro di Detroit, la palazzina che ospita la sede della United Auto Workers, il sindacato dei «blue collar» dell’auto, ha le porte sbarrate. Il centralino è muto, qualche auto nel piazzale testimonia un minimo di attività. Ma «la trattativa è a Washington», spiega una fonte. E nella palazzina bianca stretta tra il complesso del Cobo - il grande centro espositivo che ospita il salone dell’auto di Detroit - e i grattacieli della General Motors si aspetta di sapere come andrà a finire. L’apertura c’è, la firma non ancora. L’attesa è per l’esito del voto dei colleghi canadesi, a pochi chilometri da qui ma dall’altra parte del fiume, sull’accordo raggiunto con il sindacato locale. Ma si aspettano con ansia anche le notizie da Washington.
I soldi del governo
Ieri Larry Summers, consigliere economico di Barack Obama, ha ribadito dagli schermi di Fox News che «faremo la nostra parte per sostenere il successo dei negoziati». Ma dall’altro lato, ha aggiunto intervenendo al programma domenicale dell’emittente, «il presidente ha chiaro che dobbiamo avere senso di responsabilità e non si possono avere società che vanno avanti su base permanente solo con i soldi del governo». Per questo, ha aggiunto Summers, «il presidente ha detto chiaramente che serve una nuova struttura con la quale Chrysler possa operare, che renda possibile una stabilità di lungo termine». Summers non ha voluto rispondere alle domande sull’eventuale ricorso al «Chapter 11», la procedura di protezione dai creditori secondo la legge fallimentare Usa, e sull’impatto che una simile decisione potrebbe avere sull’economia. Una procedura che potrebbe non essere incompatibile con un accordo con Fiat, hanno ricordato vari analisti anche nei giorni scorsi. «Speriamo che il negoziato, che procede con grande impegno, si concluda con successo», ha concluso Summers. «Ci sono alcuni punti che sono andati a posto, altri sui quali resta da lavorare, ma è nell’interesse di tutti di vedere questa trattativa andare a buon fine e siamo speranzosi che sarà così».
L’addio alle muscle car
Qui a Detroit sono ore di attesa anche per l’altra Big, General Motors. Oggi dovrebbe annunciare altri tagli di posti di lavoro e «l’uccisione», come la chiama il Detroit News, del marchio Pontiac. un pezzo di storia americana: ottantadue anni di «Muscle-cars», macchine coi muscoli come la Firebird, che in varie versioni è per le strade dagli anni ”60; della Gto del ”67, il macchinone con la presa d’aria rialzata sul cofano anteriore. stata per decenni la palestra dei giovani designer e manager che si facevano una fama nel settore progettando e vendendo macchinoni con il motore otto cilindri a V. Da queste parti non è solo una questione di orgoglio: lo stabilimento della Pontiac è a Orion, altro sobborgo di Detroit che in caso di chiusura è destinato a morire.