Varie, 27 aprile 2009
Tags : Adel Abdessemed
Abdessemed Adel
• Constantine (Algeria) 1971. Artista. Nel 2009 la magistratura fece chiudere una sua mostra (Le ali di Dio alla fondazione Sandretto di Torino, poi riaperta) per via di due videoinstallazioni che mostravano terribili immagini di animali che si dilaniavano fra loro e di animali commestibili uccisi in serie in un macello messicano • «[...] L’accusa è che Abdessemed sfrutti cinicamente e crudelmente questi temi per far parlare di sè. Ma non sembra fondata. Il suo ossessivo e angoscioso interesse per il tema della violenza estrema, che è profondamente interiorizzato perchè nasce da traumatiche esperienze di vita (in Algeria), attraverso un’intensa e coerente elaborazione culturale e estetica acquista una dimensione assoluta e tragica. La messa in scena, freddamente predisposta (al limite della disumanità) di esecuzioni e lotte mortali fra animali ha come obiettivo quello di evidenziare, con inesorabile chiarezza, l’insopprimibile (e dominante) pulsione della violenza bestiale dell’umanità, quella della sopraffazione del più forte sul più debole, dell’istinto della distruzione che dai più forti viene legittimata spesso come battaglia di civiltà e che nei più deboli e sconfitti si trasforma spesso in devastante ribellismo impotente e autodistruttivo. L’artista con i suoi lavori ci porta alle soglie dell’inferno, aprendo davanti all’occhio dello spettatore il baratro del buio della morte, quella dell’altro come condizione della propria vita. Esemplare allegoria in questo senso è Usine, un video che mostra un cortile riempito di cani, galline, topi, serpenti, ragni, scorpioni, rospi che si attaccano fra loro all’ultimo sangue dando vita a un apocalittico spettacolo di violenza e morte. una breve sequenza di ripugnanti scene di lotta sostenute da un’allucinante e apparentemente perversa tensione estetica. L’altra videoinstallazione incriminata, Don’t trust me, propone attraverso uno spoglio allestimento in due sale buie una serie di schermi posati a terra in cui si vedono brevissime sequenze dell’abbattimento di sei animali ininterrottamente ripetute. Qui si arriva a un eccesso di estetismo minimalista» (Francesco Poli, ”La Stampa” 27/4/2009).