Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 26 Domenica calendario

Da anni non riesco a dare una risposta esauriente a un quesito: perché l’Italia, già prodiga nel distribuire a destra e a manca l’appellativo di «dottore» – titolo riservato nella grande maggioranza dei Paesi ai medici – si distingue per l’attribuzione e la conservazione a vita del titolo di «presidente», sia che si tratti di presidenti di istituzioni che di circoli ricreativi? In occasione di una conferenza organizzata a Bruxelles dal maggior sindacato dei funzionari delle istituzioni europee in vista delle prossime elezioni, mi sono rivolto a «Monsieur Jean-Luc Dehaene» – già primo ministro del Belgio per oltre 7 anni, vicepresidente della Convenzione europea e attualmente presidente della Banca Dexia, oltre che parlamentare europeo – con l’appellativo «Monsieur le président»

Da anni non riesco a dare una risposta esauriente a un quesito: perché l’Italia, già prodiga nel distribuire a destra e a manca l’appellativo di «dottore» – titolo riservato nella grande maggioranza dei Paesi ai medici – si distingue per l’attribuzione e la conservazione a vita del titolo di «presidente», sia che si tratti di presidenti di istituzioni che di circoli ricreativi? In occasione di una conferenza organizzata a Bruxelles dal maggior sindacato dei funzionari delle istituzioni europee in vista delle prossime elezioni, mi sono rivolto a «Monsieur Jean-Luc Dehaene» – già primo ministro del Belgio per oltre 7 anni, vicepresidente della Convenzione europea e attualmente presidente della Banca Dexia, oltre che parlamentare europeo – con l’appellativo «Monsieur le président». Al che il «signor» Dehaene mi ha chiesto: «Vous-êtes Italien»? Ecco, per lui, e per gli altri partecipanti non connazionali, era sufficiente che introducessi la mia domanda con la formula «Monsieur Dehaene». Ho quindi pensato a un uomo politico italiano con un curriculum molto simile a quello di Dehaene, il presidente Giuliano Amato, come lui ex primo ministro, vicepresidente della Convenzione europea e nel 1994 ambedue «quasi» presidenti della Commissione europea (con la sola differenza che alla nomina di Dehaene si opposero i britannici, a quella di Amato il nostro ministro degli Esteri pro tempore Martino). Sono sicuro che se in un convegno in Italia mi fossi rivolto al presidente Amato con la formula «signor Amato», i partecipanti avrebbero pensato a una irriguardosa ironia! Pierpaolo Merolla p.merolla@telenet.be Caro Merolla, Il «presidente» Jean-Luc Dehaene avrebbe potuto egualmente dirle: «Vous-êtes Français?». Anche in Francia la carica di presiden­te è un incrollabile vitalizio, de­stinato ad accompagnare il suo titolare sino alla tomba. Quando Jacques Chirac, presi­dente della Repubblica dal 1995 al 2007, esce dalla casa di Quai Voltaire per la passeggia­ta mattutina del suo cane, i vi­cini e i passanti lo salutano con un rispettoso «Bonjour, Monsieur le Président». Quan­do Valéry Giscard d’Estaing, presidente della Repubblica dal 1974 al 1981, partecipa ai la­vori del Consiglio costituziona­le, i suoi colleghi lo accolgono con un cordiale «Bienvenu, Monsieur le Président». Persi­no gli ex ministri vengono spesso chiamati «Monsieur le ministre». Altri popoli hanno vezzi e civetterie che si espri­mono in modi e contesti diver­si. Per molto tempo in Gran Bretagna la buona educazione voleva che il nome del destina­tario, sulla busta di una lettera, fosse immediatamente seguito dall’abbreviazione «Esq.» (per esempio John Smith Esq.). L’abbreviazione stava per Esquire, parola che significa originalmente scudiero, ma ha assunto col passare del tempo una connotazione nobiliare.  certamente vero, tuttavia, che esiste fra gli italiani e altri popoli europei una fondamen­tale differenza. Altrove la paro­la «signore», declinata nelle di­verse lingue del continente, è segno di cortesia e di rispetto. Da noi, invece, ha un sottofon­do negativo. Quando diciamo «i signori», intendiamo dire «i padroni». Quando ci indirizzia­mo a un gruppo di persone con l’espressione «lor signo­ri », segnaliamo implicitamen­te l’esistenza di una certa di­stanza, se non addirittura di una insanabile estraneità. Quando parliamo di un uomo politico con simpatia o indiffe­renza usiamo generalmente il nome e il cognome. Ma quan­do vogliamo esprimere ripro­vazione, rabbia o disprezzo, lo definiamo signore. Un italiano che nel corso di una conversa­zione parla del «signor Berlu­sconi », del «signor Di Pietro» o del «signor D’Alema» ha già annunciato le sue antipatie. Per la verità esistono alme­no due istituzioni in cui la pa­rola signore ha avuto una con­notazione positiva ed è stata preferita a qualsiasi altro tito­lo, grado o appellativo: la Mari­na militare e la Banca Commer­ciale Italiana. Era una civette­ria un po’ snobistica di cui an­davano entrambe orgogliose. Suppongo che l’abitudine so­pravviva nella Marina e mi au­guro che lo stesso accada an­che in Banca Intesa, nata dalla fusione della Banca Commer­ciale con altri istituti di credi­to. Ma al di fuori di queste due civili cittadelle, la parola «si­gnore », caro Merolla, è da noi una brutta parola. Quanto a Giuliano Amato non sono certo che desideri es­sere chiamato presidente e ho l’impressione che il suo appel­lativo preferito sia «professo­re ». Anche questa è una civette­ria, naturalmente.