Marco Valsania, Il sole 24 ore 23/4/2009, 23 aprile 2009
Arrivano alla spicciolata, davanti al cancello numero 5. E il turbinio di crisi e speranze li raggiunge come un pugno nello stomaco, all’inizio del turno delle sette di mattina, con i titoli a caratteri cubitali del giornale locale, il Windsor Star, distribuito all’ingresso: «Vans out, cars in»
Arrivano alla spicciolata, davanti al cancello numero 5. E il turbinio di crisi e speranze li raggiunge come un pugno nello stomaco, all’inizio del turno delle sette di mattina, con i titoli a caratteri cubitali del giornale locale, il Windsor Star, distribuito all’ingresso: «Vans out, cars in». Fuori i minivan, dentro le auto. Dal ventre del Chrysler Center, se il patto con Fiat decollerà, usciranno ancora veicoli, ma potrebbe trattarsi di modelli ispirati dall’azienda italiana al posto delle grandi vetture che per un quarto di secolo sono state l’orgoglio delle catene di montaggio del gigantesco complesso, tutt’ora il gioiello della capitale canadese dell’auto. Non c’è nulla di ufficiale, ma i titoli sono bastati a confermare ciò che già sapevano: che i colossi malati dell’auto nordamericana non saranno mai più quelli di prima, anche se vincessero una lotta per la sopravvivenza ancora da decidere. «Questo impianto ha sempre dimostrato di essere all’avanguardia nell’innovazione – dice Joe Lapentiguy, da quarant’anni all’azienda – Dovrà continuare a farlo». La partita per la sopravvivenza, in Canada, si gioca a qualche centinaio di chilometri di distanza, a Toronto, tra l’azienda e il sindacato Canadian Auto Workers. Un negoziato sul filo del rasoio: un compromesso entro fine mese che riduca drasticamente il costo del lavoro. Secondo fonti sindacali il Governo canadese si sta adoperando per chiudere nelle prossime ore. Chrysler ha detto che altrimenti le attività canadesi saranno condannate. Di più: l’accordo è un indispensabile tassello per ristrutturare l’intera Chrysler, ottenere nuovi aiuti pubblici e, appunto, aprire i cancelli a Fiat. A Windsor le trattative sono seguite con trepidazione. «Abbiamo paura di perdere il lavoro, paura che l’azienda fallisca, paura di troppi sacrifici», dice Harry Soydenbay, 59 anni, tecnico della manutenzione da 35 anni alla Chrysler. Davanti a tanta preoccupazione l’alleanza con Fiat fa sperare. «Potrebbe portare risultati, anche se è impossibile avere certezze». Nella città canadese divisa da Detroit dall’omonimo fiume, Chrysler ha ben 4.400 lavoratori, metà dei novemila che ha nel paese, e sforna modelli-icona quali Town and Country e Dodge Grand Caravan. A sostituirli, con una conversione che può costare fino a 500 milioni, sono candidate l’Alfa Romeo MiTo e una versione della Grande Punto, basate sulla piattaforma B di Fiat. Dirigenti Fiat avrebbero già visitato Windsor e seguono le trattative a Toronto. Jeff Bula, da 15 anni alla Chrysler, è pronto a qualunque cambiamento: «Abbiamo sempre prodotto vetture eccellenti e sono disposto a rinunce per salvare l’occupazione». Ancora più esplicito Greg Lafave: « meglio se arrivano le auto, i minivan sono in via di estinzione. Avevamo cinque turni, ne sono rimasti due». Ma altri sono meno fiduciosi. Gary Strilchuck, reparto ispezioni di qualità, sottolinea che la crisi economica incombe e teme per la pensione aziendale: «Lascio fra quattro anni». In difesa della previdenza le union hanno organizzato per oggi una dimostrazione a Toronto. Ed Lenardusi, 57 anni e da 35 anni alla Chrysler, è ancora più scettico. « difficile stravolgere la vita, tutto viene rimesso in discussione. La Fiat? Mi sembra improbabile una corsa a comprare piccole auto e ci sono già le giapponesi». Dai vertici sindacali trapela soprattutto cautela: «Il minivan ci ha dato molto – ha detto Rick Laporte, presidente della Local 444, la union che organizza i dipendenti Chrysler ”. ancora un veicolo che può vendere». L’impianto «è molto moderno e mi parrebbe strano rimpiazzare la produzione», ha ammonito il capoeconomista Jim Stanford. Dino Chiodo, vicepresidente della Local e da 18 anni a Windsor, spiega però che il sindacato «è pragmatico» e aperto a «trasformazioni». Aspetta solo «strategie chiare». Meno conciliante è invece sui tagli invocati dal management di Chrysler, dal governo canadese e dall’a.d. di Fiat Sergio Marchionne: Chiodo denuncia le ipotesi di eliminare 19 dollari canadesi dal costo orario del lavoro di 76 dollari che, afferma, è solo il 7% del totale. Rispetto agli Stati Uniti, la presenza di un servizio sanitario nazionale in Canada fa risparmiare fino a 7 dollari l’ora ma le union hanno strappato altri benefit che l’azienda vuole eliminare. La tensione è venuta alla luce la scorsa settimana con un gesto plateale: una lettera sui tagli inviata dal chief executive Bob Nardelli la scorsa settimana è stata pubblicamente bruciata dai dipendenti.