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 2009  aprile 23 Giovedì calendario

IL COLOSSO DEI PRESTITI


Freddie Mac, e la sorella maggiore Fannie Mae, sono le due megafinanziarie del settore immobiliare che, condotte diversamente e soprattutto indirizzate diversamente dalla classe politica degli Stati Uniti, avrebbero risparmiato al mondo la crisi finanziaria del 2007-2008, con tutti i suoi strascichi. Qualcosa sarebbe successo ugualmente, perché la mole di debito nel sistema era comunque eccessiva, negli Stati Uniti e non solo. Ma senza Freddie e Fannie sarebbe successo dopo e in modo diverso.
Quella del suicidio è la più misteriosa delle decisioni umane, e null’altro da qui si può dire sulla fine di David B.Kellermann. Lavorando con Freddie però, o con Fannie, è stato inevitabile assistere in qualche modo alla degenerazione del più potente sistema finanziario del mondo, al suicidio finanziario deciso dalla grande maggioranza della sua classe politica e dirigente, che si è comportata – su Freddie e Fannie gli allarmi ci sono stati, e anche forti, interni ed esterni, ma inefficaci – come se il debito fosse roccia su cui costruire.
Fannie e Freddie erano da anni un tipico ibrido americano. Fannie nasceva nel 38 su basi chiare: una società pubblica per aiutare indirettamente i meno abbienti ad acquistare casa. Non concedendo mutui, ma acquistandoli sul mercato secondario da chi li concedeva, e in parte rivendendoli cartolarizzati sul mercato, e assicurandoli. A chi comprava i titoli veniva e viene quindi garantito l’interesse pattuito. Oggi che una cospicua minoranza non paga più, pagano quindi Freddie e Fannie. Da qui le grosse perdite.
Nel 68 la chiarezza degli statuti si appannava. Fannie non aveva mai superato fino ad allora il 5% del mercato. Ma Lyndon Johnson, pressato dai costi del Vietnam, la privatizzò, togliendole quindi la garanzia esplicita del bilancio federale, ma lasciandola sempre sotto gli statuti dettati dal Congresso. Due anni dopo a Fannie veniva affiancata Freddie, del tutto simile, per creare un’alternativa. Quotate in Borsa, le due finanziarie si finanziavano con obbligazioni, anche in mani internazionali, asiatiche soprattutto, per 1.500 miliardi. Già nel 97 gli asset di Fannie superavano di 80 miliardi quelli di General Electric.
Spinte con forza da Washington, Freddie e Fannie arrivavano a detenere nell’estate del 2008 metà dei circa 12 mila miliardi di mutui immobiliari americani. Adesso, dal 7 settembre sotto la tutela del bilancio federale, hanno già incassato circa 500 miliardi di aiuti secondo la contabilità della crisi tenuta dall’agenzia Bloomberg, su un totale già previsto per loro dalla Federal Reserve e dal Tesoro di 2.000 miliardi di dollari (più del Pil italiano). la voce maggiore nel gigantesco totale di 12.800 miliardi messi in campo per tamponare la crisi e rilanciare l’economia. Salvare Fannie e Freddie potrebbe quindi costare alla fine non meno di tre guerre del Vietnam, conflitto costato in dollari di oggi poco meno di 700 miliardi.
Le due megafinanziarie si sono trovate a muoversi tra l’ambiguità istituzionale, la commistione e il servizio con e alla classe politica, e il lobbismo. Fino a provocare la più grossa deflagrazione della storia finanziaria mondiale con il bilancio federale che di colpo, il 7 settembre 2008, si dovette fare carico dei 5.400 miliardi di titoli cartolarizzati che Fannie e Freddie hanno emesso e garantito, per un terzo trattenuti e per due terzi venduti sui mercati.
L’ambiguità derivava dal fatto che Fannie e Freddie strizzavano l’occhio e dicevano "siamo pubbliche" quando dovevano raccogliere fondi sul mercato o vendere titoli, ma avevano nella gestione tutta la libertà di una società privata. La commistione, che fu soprattutto con i democratici di cui Fannie e Freddie sono state dai primi anni 80 un feudo, sia pure con favori bipartisan, incominciò a farsi pesante con David O. Maxwell, presidente di Fannie negli anni 80, e si fece pesantissima con James A. Johnson, figlio di una dinastia democratica del Minnesota, grande amico dei due ministri del Tesoro di Clinton, Bob Rubin e Lawrence Summers, e come loro protagonista del grande abbraccio, durante l’era Clinton, fra il partito democratico e Wall Street. Johnson è stato il superlobbista per 20 anni, manager finanziario sia a Lehman che a Goldman Sachs, e quando era al vertice di Fannie un vero Medici-sul-Potomac, data la munificenza, da presidente del Kennedy center e presidente del Board of Trustees della Brookings.
Le due Gse (Government sponsored enterprises), avevano un mutuo su quattro nel 91, all’inizio dell’era Johnson. Ne avevano uno ogni due nel 2008. La politica le ha sempre spinte ad abbassare i criteri di acquisto, fino ad entrare anche nel mercato dei subprime, e di altri mutui a rischio. Nel novembre del 99, contemporaneamente al passaggio della legge Gramm-Leach-Bliley che dava il via libera alla nuova finanza, passava il Community reinvestment act, che spingeve le banche a concedere sempre più mutui. Nessun rischio, Fannie e Freddie li acquistavano.
Il Sole 24 Ore scriveva il 12 marzo 2008 che Freddie e Fannie sarebbero state «il punto di rottura o di tenuta, in qualche modo, della crisi finanziario-immobiliare che attanaglia gli Stati Uniti». Di tenuta se si salvavano sul mercato, di rottura se Washington avrebbe dovuto salvarle. A settembre, con circa 200 miliardi di titoli in scadenza, si vide subito che il mercato non rispondeva. E Washington, con molti miliardi del contribuente, chiarì il lungo equivoco tra pubblico e privato.