Mario Platero, Il Sole 24 Ore, 23/4/2009, 23 aprile 2009
SUICIDA IL CFO DI FREDDIE MAC
La Washington che conta, i banchieri, Wall Street, lo stesso segretario al Tesoro Tim Geithner, tutti erano sotto shock ieri, dopo aver appreso la notizia del suicidio di David Kellerman, 41 anni, il direttore finanziario ad interim di Freddie Mac, una delle due grandi finanziarie di stato che garantiscono i mutui immobiliari. Lo shock è su più livelli. Un suicidio proprio ora, che le cose sembravano stabilizzarsi nel settore finanziario? C’è forse qualcosa che non sappiamo nella gestione della crisi e di Freddie Mac e Fannie Mae in particolare, i due colossi nazionalizzati dal governo americano lo scorso autunno per evitare che la crisi finanziaria diventasse crisi sistemica?
La risposta che giunge per ora dal mercato sembrerebbe dirci di no: l’indice Dow Jones non ha avuto reazioni particolari alla notizia del suicidio di Kellerman e i titoli bancari in genere non hanno mostrato andamenti contrari alla normalità fisiologica. Poteva esserci dunque un elemento personale? Possibile che David fosse coinvolto in qualche giro strano, che avesse commesso delle irregolarità o delle truffe? In effetti sia la procura federale di New York che la Sec avevano aperto delle inchieste per far luce su presunte irregolarità contabili nei libri dell’istituzione. Da più parti si insinuava che potessero esserci stati degli episodi di corruzione non ancora venuti alla luce. L’inchiesta è stata poi trasferita al procuratore federale del distretto della Virginia che proseguiva le indagini. Ma su questo c’è stata la smentita formale della stessa Freddie Mac: «Non ci risulta vi sia alcun collegamento fra questa terribile vicenda personale e le inchieste in corso all’interno della magistratura e delle autorità di controllo che abbiamo recentemente pubblicizzato nei documenti inviati alla Sec» ha dichiarato ieri David Palombi, il portavoce dell’istituzione. Ma una ragione che giustificasse il suicidio fino a ieri non la si trovava certo nella vita privata di Kellerman, che aveva recentemente ricevuto un bonus da 800mila dollari.
Tutto sembrava perfetto. Era un uomo giovane, energico, volto e sorriso da sogno americano, felicemente sposato, padre di una bimba di cinque anni, casa in mattoni rossi con un grande prato all’inglese nel quartiere Hunter Mill Estates di Reston, un sobborgo bene della contea Fairfax, in Virginia, appena fuori dalla Capitale. David aveva un master in finanza alla George Washington University e una laurea dall’Università del Michigan, una delle quattro migliori università statali del Paese. Era stato subito assunto dopo il master, 16 anni fa, da Freddie Mac dove ha fatto tutta la sua carriera partendo dal primo livello, quello di analista finanziario. Era stato promosso lo scorso autunno in quella che doveva essere la grande occasione della sua vita: ancora molto giovane, già responsabile di tutte le attività finanziarie di uno dei grandi colossi Usa. Se Freddie Mac navigava in acque molto difficili, non era certo non per colpa sua. Il problema era soprattutto di origine politica, non certo manageriale e non certo al suo livello. Di più, David era di fatto uno "statale", sotto pressione certo, c’era in ballo una delle più grandi operazioni di risanamento della storia americana, ma era a stipendio fisso, visto che la finanziaria immobiliare per cui lavorava era stata nazionalizzata. Semmai la sua sfida era densa di motivazioni. Come aveva confidato a un vicino, aveva la possibilità di dimostrare in un paio d’anni di aver rimesso a posto un gigante finanziario oberato da titoli tossici e di poter passare al settore privato dove avrebbe potuto guadagnare molto di più. «La loro casa era per noi una fonte di gioia – dichiara Fred Unger, 64 anni, un vicino – il nostro è un quartiere tranquillo, ci conosciamo tutti, il fatto che ci fosse una famiglia giovane era molto bello. Le loro decorazioni natalizie, o quelle per Halloween erano la più belle del quartiere. Siamo davvero sconvolti». In effetti nessuno, non i colleghi, non i vicini e tanto meno la moglie, immaginava che David potesse scegliere di togliersi la vita in modo così drammatico. La sua è stata una decisione meditata. La sera prima era andato a dormire normalmente, si è poi alzato in mezzo alla notte, sembra fra l’una e le due del mattino e si è recato in cantina dove ha sistemato una fune sulle travi del soffitto, è salito su uno sgabello e si è impiccato.
stata la moglie a trovarlo quando si è accorta che non era più a letto, ha chiamato la polizia alle 4.48 del mattino. La polizia ha confermato il suicidio. Ora si cercano motivazioni nascoste. Su Internet si è scatenata una ridda di congetture, la più creativa e preoccupata, quella di Valkyrie123 su un sito di breaking news: «Il direttore finanziario sapeva tutto. Sa quello che il governo rifiuta di comunicare al pubblico. Freddie e e Fannie precipitano e si porteranno con loro il resto dell’economia. La fine è vicina, lo sapeva…». Altri sospettano che sia stato ucciso…
In realtà, le motivazioni al suicidio in situazioni simili dipendono in genere da fortissimi esaurimenti, David non è stato il primo. In questa crisi abbiamo visto i suicidi dell’industriale tedesco Adolf Merckle, 74 anni. Il gennaio scorso si buttò sotto un treno nella città di Ulm, poco lontano dalla sua casa. Merckle controllava un impero con un fatturato di 30 miliardi di euro, con aziende che impiegava circa 100mila dipendenti. Ci fu poi il suicidio di Rene-Thierry Magon de la Villeuchet, 65 anni, un raffinato money-manager francese che aveva investito almeno 1,4 miliardi di dollari dei suoi facoltosi clienti nel fondo truffa di Bernard Madoff. In dicembre si è tolto la vita anche Alex Widmer, l’a.d. della banca Julius Baer e uno dei più rispettati manager patrimoniali svizzeri: aveva commesso un errore facendo investimenti sbagliati. Ma aveva anche perso l’adorata moglie appena tre anni prima.