Mariella Romano, Novella 2000, n. 18, 30/04/2009, pp. 67-71, 30 aprile 2009
Gianni Vattimo. Ex preside della facoltà di Filosofia all’università di Torino, abita nella città della Mole, all’ultimo piano di un palazzo settecentesco del quartiere universitario
Gianni Vattimo. Ex preside della facoltà di Filosofia all’università di Torino, abita nella città della Mole, all’ultimo piano di un palazzo settecentesco del quartiere universitario. *** «In tutta la mia carriera da gay, non ho mai incontrato un prete pedofilo e non sono mai stato importunato da un religioso», ma i sacerdoti «mi hanno mandato dagli psichiatri per correggere la mia omosessualità». *** «L’ultima azione della mia giornata è la recita della Compieta, proprio come fanno nei monasteri. Non mi addormento senza pregare. Quando posso la domenica vado a messa. E faccio la comunione». Una provocazione? «No, semplicemente mi sento un estraneo alla Chiesa visibile, non mi riconosco nella gerarchia cattolica e sarei tentato di fondare il Mac, il Movimento anticlericale cristiano». Eppure, fino ai 24 anni, è stato un militante dell’azione cattolica. «Dico di più: fino ai 24 anni recitavo sistematicamente il rosario in ginocchio, andavo a messa e facevo la comunione tutte le mattine». E poi? «E poi ho rivelato a un sacerdote che gli uomini mi eccitavano. Mi ha mandato da uno psichiatra che non mi ha preso sul serio. Ho assecondato i miei impulsi e avuto la mia prima esperienza con un giovane peruviano: nel frattempo, però, l’oppressione della Chiesa mi ha impedito di educarmi sentimentalmente. Avrei voluto corteggiare i miei compagni di classe, per esempio. E invece mi sono fidanzato con due splendide signorine che non ho mai sposato». Poi è arrivato il ”68. «La mia situazione mi costava tanta sofferenza. Un giorno ho incontrato Giulio, un ballerino peruviano bello, educato e molto maschio. Ho perso la testa e ho vissuto un mese e mezzo in una condizione di assoluta serenità: ero libero da me stesso e libero dal mondo. E’ stato allora che ho deciso di fregarmene dei conservatori e dei perbenisti». In quel periodo inizia anche la storia con Gianpiero Cavaglià, studioso di letteratura comparata, morto nel 1992, a 43 anni per Aids. «Quando ho fatto le analisi e ho scoperto di essere sano, ho pensato: perché a lui sì e a me no?». Giampiero era ancora vivo quando nella sua vita si è affacciato Sergio Mamino, di vent’anni più giovane e, allora, studente universitario. «E’ stato lui a cercarmi: ero il suo preside gay. Ma all’inizio è stata solo amicizia: veniva a casa, mi aiutava ad accudire Giampiero quando stava male, viaggiavamo insieme e condividevamo il quotidiano. Poi Giampiero è morto e Sergio, che nel frattempo, è diventato professore associato in Storia dell’Arte, è rimasto al mio fianco. Insieme abbiamo girato il mondo e visitato musei. Sergio era la mia coscienza artistica. E’ morto per un cancro ai polmoni quando aveva 41 anni. Con Gianpiero è stato amore passionale, con Sergio amore coniugale. Ho sofferto per entrambi alla stessa maniera, quando mi hanno lasciato solo». *** «Sono vedovo dal 2003: il mio secondo compagno è morto di cancro. Prima di lui, avevo un altro uomo. E’ morto di Aids a 43 anni. Ho avuto paura. Ho sofferto la solitudine. Ho elaborato il lutto e sono tornati gli impulsi. E mi sono innamorato di nuovo. Prima di un cubista, Stefano, che ha 31 anni. Poi di un immigrato clandestino brasiliano, Luiz, che ne ha 28. A me la passione non è passato. A loro sì. Come dargli torto? Neanche il gatto Sancio, che vive a casa mia, viene a letto con me. Figuriamoci se due giovani belli come Stefano e Luiz potrebbero mai accontentarsi di uno attempato come me. Sorridendo mi dicono: ”Ma ti sei visto allo specchio?”. Così, oggi, mi accontento di fare loro da papà: tornano da me quando hanno bisogno di qualcosa, come farebbero due figli. Mi prendo cura delle loro necessità e ho capito quanto sia difficile il mestiere di genitore. Però loro mi aiutano a vivere». *** E’ tra i candidati al Parlamento europeo per l’Italia dei Valori. «Mi sento comunista ideale, credo nel motto di Lenin che punta sullo sviluppo tecnologico-economico e sul potere democraticamente diffuso. Abbiamo bisogno di un’opposizione vera e quella di Antonio di Pietro lo è». *** Celebre per le liti con querela. Nell’ottobre 2004 Alessandro Cecchi Paone, in televisione si prende gioco di Vattimo: «Professore? Ma de che?». Il filosofo, impermalosito, lo attacca in un’intervista al Corriere Magazine: «Non tutti sono intelligenti, basta vedere Cecchi Paone». E si prende un querelone da 15 mila euro. Nell’ottobre del 2007, al programma di Raidue Confronti, è rissa con la giornalista israeliana Fiamma Nirenstein. Il tema è il rapporto Israele-Palestina. Lei si prende della «fascista», lei lo strapazza su tutti i giornali. I risentimenti durano ancora. Nell’aprile del 2009, il governatore Pd del Piemonte Mercedes Bresso accusa: «Per Vattimo l’Europa è di una noia mortale, ma ci vuole tornare. Per ragioni non nobili». Lui: «La ”zarina” fa di tutto per distrarre i contribuenti elettori dallo scandalo dei fondi dati al Grinzane Cavour».