Giulia Zonca, La stampa 22/4/2009, 22 aprile 2009
LA LIGA A RISCHIO BANCAROTTA
Il grande bluff, i campionati più spettacolari naufragano nei debiti e se la Premier inglese è finita nelle discussioni parlamentari con l’accusa di «doping finanziario», la Liga spagnola si prende i rimproveri del governo per la cattiva gestione e trova persino un pentito, Francisco Izco, presidente dell’Osasuna.
La sua società è tra le cinque che possono vantarsi di avere una situazione finanziaria decente, le altre 15 dovranno rivoluzionare il loro assetto per reggere l’onda d’urto della crisi economica, ma Izco usa il plurale: «Abbiamo organici faraonici che non ci possiamo permettere, da anni viaggiamo al di sopra delle nostre possibilità. Il pallone vive dentro questo mondo e deve fronteggiare come tutti un momento difficile, chi non è solido fallirà». Ci va giù pesante e non è un caso che sia proprio lui ad alimentare le accuse che negli ultimi mesi hanno travolto il calcio spagnolo: da modello a sistema da censurare in una sola stagione. Gente come Izco può spiegare che la trasformazione è stata più lenta: « da almeno tre anni che noi presidenti di piccole e media società proviamo a far capire che non c’è stata reazione davanti ai cali di entrate. Sono diminuiti gli incassi, i guadagni dai diritti tv, le sponsorizzazioni e i più hanno tirato dritto». Tra i più c’è il caso Valencia, esempio limite del ribasso improvviso. Società da imitare, da esportare, cresceva giovani, comprava talenti, due volte in finale di Champions League, prima sorpresa poi vera nobile con Barcellona e Real Madrid. Senza lo stesso portafoglio. crollata, da febbraio non paga gli stipendi e ha sospeso la costruzione del nuovo stadio, faraonico progetto abbandonato allo stato di cantiere e fotografia dell’eccesso.
Il club voleva investire 200 milioni di euro per 75 mila posti più museo sociale e centro commerciale. Sostenevano di poter rientrare vendendo gli ettari extra a chi era interessato ad aprire attività intorno al nuovo e maestoso Mestalla. Non esistevano compratori e bloccando l’affare andato a male, il Valencia è riuscito è tirare il fiato e raccattare un prestito da 50 milioni di euro per evitare di perdere la proprietà del cartellino dei calciatori. Adriano Galliani, per mesi, ha risposto alle insistenti offerte del Real Madrid per Kakà con seccato fatalismo: «Resisteremo, però dobbiamo abituarci all’idea che la Spagna potrà sempre più facilmente portarci via i giocatori migliori: lì pagano di più, hanno meno tasse». Lì non pagano per niente e Liga e Seconda divisione devono al fisco 627 milioni, neanche la cifra più preoccupante.
Già da gennaio circola uno studio di José Maria Gay, professore di economia all’università di Barcellona: si intitola «l’insolvenza del calcio spagnolo» e dice che i debiti dei 20 club toccano quota 3 miliardi, il 40 per cento dei quali è stato contratto negli ultimi due anni. Sciambola. Quando è uscito il fascicolo, la Spagna stava in piena recessione, era l’ennesima nota stonata nel quadro nel neopessimismo nazionale e anche se nessuno lo ha sottovalutato si è perso nei bilanci collettivi. Oggi è il governo che bussa e mette in discussione il sistema societario usato dalla maggior parte delle squadre registrate come Sad, sociedades anonimas deportivas. Solo Barcellona, Real Madrid, Osasuna e Athletic Bilbao si reggono ancora su centinaia di soci proprietari, gli altri hanno scelto un piccolo gruppo di azionisti che sono accusati di aver sfruttato le leggi per ottenere prestiti. Avviavano procedure di bancarotta per tagliare i costi senza poi ristrutturare o limitare le spese. Proprio come è successo in Inghilterra, il problema è entrato in parlamento e non sotto forma di generica denuncia: c’è una richiesta di nuove regole per tenere sotto controllo quelli che i giornali spagnoli chiamano «I club della vida loca». Tutti sono stati leggeri, solo Barcellona e Real Madrid se lo potevano permettere e restano società forti, con un potere di acquisto reale. In pratica non sono santi, hanno maneggiato e sperperato solo che possono pagare i loro peccati. Il resto è in pericolo.
Dopo l’uscita di Izco, Gay, il professore autore del rapporto «Insolvenza», ha reso noti altri numeri sulla mala educacion della Liga. L’Espanyol per esempio mette a bilancio stipendi faraonici per 57 dipendenti «non appartenenti allo staff sportivo, cioè 25 in più rispetto a squadre di pari livello». Finanza creativa degli anni di fiesta.