Gilberto Corbellini, La stampa 22/4/2009, 22 aprile 2009
GLI DEI SONO SEMPRE IN NOI
Se c’è un aspetto delle idee di Charles Darwin che è noto a tutti, è che tendono a entrare in conflitto con le credenze religiose. Non che questo fosse lo scopo per cui concepì la teoria della selezione naturale, in alternativa all’idea che la vita sia il risultato di un progetto divino. Tranne qualche cretino, nessuno può sostenere che Darwin volesse dare un dispiacere ai credenti, a cominciare da sua moglie Emma.
Sono stati versati fiumi di inchiostro per discettare di quello che pensasse della religione e soprattutto se la teoria dell’evoluzione implichi l’ateismo, l’agnosticismo, ovvero se sia compatibile con la religione. Per la verità, Darwin aveva le idee abbastanza chiare e forse aveva intuito come stanno le cose circa la natura della religione in quanto tratto comportamentale e culturale tipicamente umano. Si dichiarò agnostico, che non era una scelta di disimpegno rispetto a una «militanza» antireligiosa o anticlericale, ma semplicemente considerare il problema insolubile, se lo si formuli nei termini della domanda se un qualche dio esiste o no. Darwin non era sprovveduto. Aveva studiato la teologia. E osservava con l’occhio del naturalista il comportamento umano. Di conseguenza era giunto alla conclusione, come scriveva nel 1880, che gli attacchi alla religione sono senza effetto sul pubblico, mentre si può promuovere meglio la libertà di pensiero facendo progredire la scienza. Inoltre, scriveva nell’«Autobiografia» che la religiosità viene coltivata nei bambini e produce «un effetto così forte e duraturo sui loro cervelli non ancora completamente sviluppati, da diventare per loro tanto difficile sbarazzarsene, quanto per una scimmia disfarsi della sua istintiva paura e ripugnanza del serpente».
Etologi e biologi
Poiché non scriveva mai a vanvera, considerando che nell’«Origine dell’Uomo» sosteneva che la credenza in un dio particolare non sembrava innata, mentre appariva un tratto universale la credenza in entità spirituali che pervadono il tutto, si può dire che aveva colto l’essenza del problema. Se la religiosità e le religioni esistono, è perché sono adattative: si tratta di un sottoprodotto di caratteristiche cognitive che in quanto tali non funzionano in modo ottimale e inducono a credere in cose prive di realtà. E infatti alcuni etologi e biologi evoluzionisti ritengono (senza negare che i meccanismi cognitivi alla base della religiosità abbiano avuto un’origine del tutto contingente) che le religioni abbiano una funzionalità adattativa.
L’ultimo autorevole biologo evoluzionista ad argomentare in questo senso è David Sloan Wilson, autore di «La cattedrale di Darwin. Evoluzione, religione e natura della società» (Giovanni Fioriti Editore). Lui ha stretto un’alleanza teorica interessante con il più famoso e parzialmente omonimo Edward O. Wilson, diffondendo la tesi, a lungo ritenuta eretica anche dal Wilson sociobiologo, che la selezione di gruppo è un fattore importante dell’evoluzione biologica. Peraltro, anche Darwin lo pensava. Dopo aver dedicato un libro scritto insieme con Elliot Sober («Onto others. The evolution and psychology of selfish behaviour», Harvard University Press) a riformulare la selezione di gruppo in modo da risultare scientificamente plausibile (ovvero testabile) per dimostrare che la selezione naturale non agisce solo a livello del fenotipo, ma a più livelli, inclusi i gruppi di individui, ha scelto di metterla alla prova nel modo più difficile. Cioè per dimostrare che la religione è un tratto culturale adattativo, selezionatosi nel corso dell’evoluzione.
La tesi di Wilson (David Sloan) è che le religioni sono organismi che rispondono alle finalità evolutive fondamentali, che sono la sopravvivenza e la riproduzione. Gli organismi religiosi hanno successo grazie ai processi della selezione di gruppo, in cui proprio i gruppi religiosi sono favoriti, in quanto riescono più efficacemente a favorire un tipo di comportamento che è individualmente svantaggioso: i meccanismi che rendono funzionali questi comportamenti sono i controlli sociali, descritti come una forma di altruismo a basso costo. In assenza di controlli sociali, il comportamento egoistico, che comunque rimane sempre presente nel gruppo, prevarrebbe e sostituirebbe l’altruismo. Proprio i meccanismi di controllo sociale sono la forza dei gruppi religiosi, la cui esistenza dipende da fattori che non sono riconducibili a un altruismo volontario.
Elementi metafisici
E qui entra in gioco la specificità delle religioni, cioè le credenze in sovrastrutture ideologiche e metafisiche straordinariamente funzionali per indirizzare i comportamenti a beneficio del gruppo. Senza dover ricorrere a costosi sistemi di sorveglianza e punizione, i gruppi religiosi ottengono l’adesione individuale e volontaria all’autorità a causa del timore di incorrere nella collera divina o di dover pagare qualche costo «spirituale». Dunque, la fede, permettendo al gruppo di funzionare come un’unità adattativa, risulta un «adattamento».
Wilson rafforza la tesi, mostrando - cosa di cui gli antropologi e psicologi cognitivi che si occupano delle origini delle credenze non tengono conto - che la mente umana dispone non solo di moduli cognitivi innati, ma che molto più importanti sono i meccanismi di apprendimento che consentono di far fronte a situazioni impreviste, ovvero di risolvere problemi nuovi. E sottolinea che questa capacità del cervello dipende dal fatto - come hanno dimostrato i neurobiologi - che è anch’esso una «macchina darwiniana». Dalla straordinaria plasticità del cervello, consentita dalla selezione neurale, deriva proprio quella diversificazione impressionante dei contenuti delle religioni, quasi simile alla diversità della vita prodotta dalla selezione naturale stessa.
Chi ritiene la religione un sottoprodotto giudica che proprio l’esistenza di credenze diversissime non consenta di concepire la religione come un adattamento. Ma, appunto, Wilson spiega il fenomeno facendo riferimento a un modello del cervello più verosimile neurobiologicamente di quello che utilizzano gli psicologi cognitivi ed evoluzionistici.
Dal calvinismo a Bali
Applicando la sua teoria a religioni diversissime tra loro, come il calvinismo, il giudaismo, il sistema dei templi di Bali, senza trascurare l’analisi sui fattori che hanno favorito le origini e la diffusione del cristianesimo e di numerose altre religioni, anche inventate di recente, Wilson dimostra in modo convincente la funzione secolare della religione. Pur riconoscendo l’esistenza del «lato oscuro» dei gruppi, che sempre per ragioni evolutive tendono a competere in modo violento con altri gruppi, e quindi a produrre intolleranza, lui è ottimista sul ruolo che può svolgere la religione per promuovere il benessere sociale.
Non è questa la sede per una discussione critica sulla religione oggi, da un punto di vista evoluzionistico, e forse l’approccio di Wilson non tiene conto che alcuni componenti neuropsicologici della religiosità erano probabilmente adattativi anche rispetto a problemi non strettamente connessi con il mantenimento dell’organizzazione sociale. L’impresa che porterà alla spiegazione della religiosità è comunque avviata ed è il momento di immaginare teorie di respiro più largo. Un primo tentativo lo fa lo stesso Wilson nell’introduzione scritta per l’edizione italiana del libro.