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 2009  aprile 22 Mercoledì calendario

ADDIO MIO CARO CENTRALE WIMBLEDON CAMBIA ANIMA


Per nulla inattesa giunge la fatidica notizia. Il 17 maggio Steffi Graf e suo marito Andre Agassi, e Kim Clijsters con Tim Henman, inaugureranno il novissimo tetto del vecchio Centre Court di Wimbledon. I quattro tennisti saranno certo molto onorati di inscrivere, una volta di più, il loro nome sulle lastre marmoree e lignee che, dal 1874, adornano muri, saloni e museo dello All Engand Lawn Tennis and Croquet Club. Ma, poiché non sono per niente sciocchi – Henman anzi è intelligente – un sottile dubbio non potrà non insinuarsi tra i flash, i sorrisi, le interviste, gli applausi. Quel campo, che ha ospitato le loro giovanili imprese, era immutato dal 26 giugno 1922, dal giorno dell´inaugurazione compiuta da Re Giorgio V e dalla Regina Mary, dopo che il Club abbandonò l´angusta sede originale di Worple road, per trasferirsi nell´attuale Church Road.
Immutato è, certo, definizione eccessiva, perché, alla fine della guerra, nel 1945, si dovette ripararlo dai danni causati da alcuni piloti della Luftwaffe amanti del calcio, che ne avevano addirittura abbattuto un pezzo, nel corso della Battaglia aerea di Londra. E, negli anni successivi, si dovette assistere a interventi plastici per meglio difenderlo dall´IRA, da possibili incendi, e incorniciarlo di vitree tane televisive. Ma, dopotutto, il centre court pareva non meno immortale di San Pietro, al quale ebbe a paragonarlo il mio maestro Giorgio Bassani, nel corso di un pellegrinaggio tennistico. Si tolse il borsalino, Bassani, e rispettosamente pronunziò la storica frase. «Siamo nel Vaticano del tennis». Ora, immaginatevi un istante piazza San Pietro ricoperta da un´enorme tettoia perché il papa possa portare avanti i suoi spettacoli, di fronte a spettatori privi di ombrello. O, se simile paragone appare sacrilego (e me ne scuso) immaginate la prossima finale di Wimbledon, tra il detentore Nadal biancovestito e un ignoto sfidante.
In programma domenica 5 luglio, l´ultima partita verrà immancabilmente giocata, a differenza di altre 14 che dovettero essere rinviate, e si svolsero in silenziosi lunedì, di fronte a spettatori frustrati, quasi una prima alla scala con l´orchestra dimezzata nei violini e negli ottoni. L´intervento di una contemporaneità sempre più asservita alla televisione, ha fatto sì che da Wimbledon si cancellasse la componente che più la diversificava dagli altri tornei, insieme all´erba: la pioggia. Ricordo, nel corso del mio primo accesso di tremante catecumeno della racchetta, la frase del dirigente chi ci accompagnava in visita guidata: «Bastano pochi secoli di pioggia, e il rullo che vedete, per ottenere campi simili». Ci rassegnammo a ridere disciplinatamente, ma capimmo anche che, nel propiziare la crescita di quell´erba benedetta, capace di condizionare i gesti di cento campioni, la pioggia era un ineliminabile segno della presenza divina.
Ora la pioggia è eliminata, almeno dal centre court, e noi cronisti non si correrà più al museo, nel quale il bibliotecario ci attendeva fiero delle sue statistiche, che indicavano, più di una volta, il rimbalzo – lo scivolio – della prima palla il giovedì, come com´era incredibilmente accaduto sei volte. Da quest´anno le tv non saranno più costrette a riciclare vecchie immagini fuori moda. Ma, senza la pioggia, Wimbledon non sarà più lo stesso che ho amato, dal 1950 – ma sì – fino a oggi.