Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 22 Mercoledì calendario

SU UNA RIVISTA L’ANALISI LESSICALE DEI DISCORSI DEI PONTEFICI


Wojtyla è carismatico, emozionale, pastore e attore. Ratzinger razionale, teologo, educatore. Giovanni Paolo II predilige "Cristo", Benedetto XVI "Gesù"
Il papa polacco dà sempre del Tu a Dio Il suo successore non lo fa mai
Le frasi del papa tedesco sono più lunghe di quelle del predecessore

Il papa «caldo» e quello «freddo». Imbarazzante ma impossibile da ignorare, il confronto è ormai un luogo comune anche tra i credenti di buona volontà. Una giovane linguista, Antonella Pilia, propone una spiegazione scientifica delle differenze umane e pastorali tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Un papa, (sempre, nell´era mediatica di più) è per la moltitudine dei fedeli soprattutto un´immagine parlante; dunque gli strumenti semiologici dell´analisi testuale e gestuale possono essere applicati almeno ai suoi prodotti linguistici: discorsi e apparizioni pubbliche. Ed è appunto questo l´esperimento dello studio di Pilia: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI tra lingua e comunicazione: continuità nella diversità, in uscita sul quinto numero della rivista Lid´o (diretta da Massimo Arcangeli per Bulzoni).
Il risultato, diciamolo subito, conferma l´impressione popolare. Vero: è Wojtyla il carismatico, emozionale filosofo-pastore-attore; Ratzinger è l´autorevole, razionale teologo-pescatore-educatore. Ma gli elementi della discontinuità non stanno nel cosa, bensì nel come dei rispettivi messaggi. L´esito del confronto lessicale, ad esempio, rivela che il serbatoio concettuale e retorico è ampiamente condiviso da entrambi: pace, comunione, amore, carità, riconciliazione, unità, solidarietà, fiducia, speranza, vita: nessuno dei termini-chiave del magistero è esclusiva dell´uno o dell´altro. Qualche predilezione, qualche accento, questo sì: Benedetto ama nominare la Chiesa, in terza persona, più spesso di Giovanni Paolo che invece coinvolge se stesso, l´istituzione e i fedeli in un noi collettivo. pure significativo che solo Wojtyla dia del Tu a Dio (sei volte nel corpus di discorsi esaminato), mentre Ratzinger non lo fa mai (viceversa, il secondo nomina Gesù molto più del primo, che preferisce Cristo).
Per vedere i due discorsi pastorali divergere bisogna frugare nella struttura del testo, perfino nella punteggiatura. Basterebbe la complessità della prosa di Ratzinger (la ricchezza di metafore, la misura dei suoi discorsi, che contano il doppio di frasi rispetto al predecessore; la lunghezza media di ogni frase, di 20,94 parole in media per l´ex papa, di 27,06 per quello in carica) per qualificarlo come l´intellettuale, il professore, rispetto al paratattico, diretto Wojtyla, che scrive "in verticale", inanellando periodi come versi di una poesia. Ma c´entrano anche le virgole, e i due punti di cui Ratzinger abbonda; o le costruzioni sintattiche (Ratzinger ama anteporre l´aggettivo al sostantivo: «eterna bontà», «fondamentale bene»; mentre Wojtyla dà forza allocutiva alle sue definizioni omettendo gli articoli: «vero Dio incarnato per nostro amore»). E contano, tantissimo nell´era visuale, anche i gesti, para-testo espresso con le mani e il viso. Il "gestuale" Wojtyla nel suo periodo "atletico" brandisce il bastone pastorale come la bacchetta di un direttore d´orchestra; nel periodo sofferente non trattiene il dolore, i gesti di stizza per il corpo che tradisce, e trasmette così un potente messaggio di umanità. Ma il pur tanto "verbale" Ratzinger non è privo di analoghe armi: sorride di più del suo predecessore dall´espressione sempre intensa e concentrata; alza gli occhi al cielo, ritma con la mano destra i passaggi del discorso, anzi li mima (dice "uno" e alza il dito indice) come un maestro che vuole farsi capire bene. La bilancia comunicativa, insomma, non pende decisamente per l´uno o per l´altro. Resta che, se per Cristo (meglio Gesù?) fino alla fine dei tempi nella Legge non cambierà «né una iota né un´apice», le parole dei suoi vicari nel tempo cambiano, eccome.