Massimo Lugli, la Repubblica 22/4/2009, 22 aprile 2009
COSI’ INCROCIAMO LE LAME
Un vecchio cortello diceva a na spada/ ferisco e sbudello la gente de strada/ er zangue che caccio da quelle ferite/ diventa n´ fattaccio, diventa na lite".
Giorgio sorride mentre cita a memoria Giuseppe Gioacchino Belli e contempla la lama snudata della sua «resolsa», acciaio temprato a mano e corno di muflone, un oggetto da 180 euro firmato da un rinomato artigiano sardo. Niente a che vedere con i pugnali cinesi, i balisong da cinque euro comprati sulle bancarelle, le mollette di Maniago o gli intramontabili coltelli da cucina che stanno seminando morte e disperazione nelle strade romane. Due omicidi in meno di un mese, un ragazzo in codice rosso dopo una lite in discoteca e una serie interminabile di ferimenti. Solo ieri, un albanese è stato accoltellato a Olevano Romano.
Un revival della «puncicata», antica tradizione della mala capitolina che sembra rievocare i tempi dei grandi bulli romaneschi, er «Tinea», er «Manciola», «Barbieretto», er «Baroncino» pronti a sfidarsi all´ultimo sangue per un´occhiata storta o uno sgarbo nella passatella. Altri tempi, riesumati da una protervia «vintage», multietnica e sottoculturale, che ha spinto il sindaco Alemanno a chiedere l´arresto in flagrante e pene più severe per quello che la legge 110 del 1975 (firmata nel pieno degli anni di piombo, quando fischiavano più pallottole che lame) definisce «porto abusivo di oggetti atti a offendere» (una multa di circa 200 euro, in genere, aggiusta tutto).
Li ama, i coltelli, Giorgio. Li ama e li conosce. Trentacinque anni, buon lavoro («Scrivi solo che sono nel ramo dell´arredamento») non esce di casa senza il «saccagno» dalla prima adolescenza. Abitudine di famiglia, padre abruzzese inurbato che a tavola apriva ancora il suo «gobbo» di Loreto col manico consunto dall´uso. «Pratico knife fighting occidentale, in passato ho fatto Escrima e Kali filippino, so usare una lama come un professionista, ho studiato tutti i punti vitali del corpo meglio di un dottore - si racconta Giorgio senza compiacimenti - ma non sono quelli come me che combinano i casini per strada. Per me è una passione, uno sport, come tirare con l´arco o sparare a un bersaglio di carta».
Della tradizione occidentale di combattimento all´arma bianca, Giorgio, con qualche amico fissato come lui, ha rispolverato tradizioni polverose come la «zumpata» campana, la «pizzica» pugliese (oggi diventata un ballo folcloristico), la terribile scuola di Navaja spagnola o di forbici gitane per tosare le pecore e il più recente metodo di combattimento degli Arditi. «Quelli delle risse, quelli dei locali notturni non capiscono niente di tecnica e neanche di armi... Comprano schifezze di latta sulle bancarelle dei cinesi, taglierini e punteruoli dal ferramenta. Sono incompetenti e pericolosi. Qualcuno è stato mio allievo ma hanno smesso subito: niente costanza, niente disciplina. Li vuoi conoscere?». Andiamo.
Via dell´Archeologia, Tor Bella Monaca, borgata che riassume tutte le contraddizioni possibili dei vecchi agglomerati di edilizia popolare. Palazzoni minacciosi festonati di panni stesi a poche centinaia di metri da bar e boutiques «Parioli style». Smart e vecchie Mercedes da campo nomadi. Detenuti ai domiciliari che spacciano eroina a casa e gente che esce alle 5 del mattino per andare al lavoro. Yin e yang in continua dialettica, direbbe Lao Tzu. Pasolini, oggi, avrebbe senz´altro una definizione più incisiva.
Da queste parti, comunque, Giorgio è ancora un mito: l´istruttore di combattimento letale, il Maestro col suo bravo alone di invulnerabilità. Chiama e arrivano. Ex allievi. Amici. Compagni di stadio e di rissa. Comitiva. Dai 17 ai 21-22 anni, jeans sfilacciati o aderentissimi, scarpe col mollone alla suola, giubbotto finto Schott o piumotto senza maniche. Modi e mode che imitano i ragazzi del Fleming, Prati e Parioli, affascinati, a loro volta, dalla coatteria spavalda made in borgata. Saluti rispettosi al maestro, sguardi sospettosi al cronista che dicono «e questo chi c... sarebbe?». Ma si sciolgono subito.
«Vuoi vedere il taglino? Eccolo» Franco Pasciotti, 19 anni, non ha paura di dire nome e cognome (veri? Falsi?) e tira fuori di tasca con subitanea prontezza un serramanico con blocco a pompa e lama da 8 centimetri. Gli altri ridacchiano un po´ imbarazzati, non ancora pronti a scoprirsi davanti all´estraneo. «Lo porto sempre dietro, se me lo dimentico torno a casa a prenderlo - spiega Franco, trasportatore di mestiere, ultrà giallorosso quasi a tempo pieno - vuoi sapere perché? Semplice: meglio un cattivo processo che un buon funerale. I rumeni girano sempre accavallati e se gli prende brutto non fanno a cazzotti: pungono o tagliano». Gianfranco, un rosso lentigginoso dall´improbabile soprannome di «er Colla» si fa coraggio ed estrae un balisong, un coltello ad ali di farfalla che in alcuni paesi è vietatissimo. «Costa 15 euro - spiega facendo danzare manico e lama in virtuose evoluzioni circolari - così se la vedo brutta e girano le guardie lo butto senza problemi. Senza mi sento nudo». L´hai mai usato? Sguardi perplessi, Giorgio che fa un impercettibile segno d´assenso: vi potete fidare. «Beh, una volta... Ho litigato con uno str... in discoteca, faceva il coatto con la donna mia. Ha cercato di darmi una bottigliata in faccia, io ho aperto la lama e l´ho bucato alla coscia, vicino al sedere. La faccia che ha fatto mentre cadeva.. «. La coltellata al gluteo o alla gamba è quanto di più vicino all´antica tecnica della puncicata all´addome di inizio secolo, sempre preceduta dalla minaccia rituale: «Ti metto le budella in mano». K. O. istantaneo. Fa male ma, di solito non uccide. Di solito. Basta una lama troppo lunga o uno scarto di qualche centimetro, l´arteria femorale tranciata ed è morte quasi certa.
«Nei locali gira di tutto, manca solo che scendono col ferro (la pistola) - interviene un altro ragazzo che finora si è tenuto in disparte - un mio amico buttafuori una volta è stato aggredito con un´ascia, ti rendi conto? Poi ci sono gli africani, svelti di lama, ti bucano che nemmeno te ne accorgi. E allora che fai? Bruce Lee». Mima, tra le sghignazzate generali, qualche goffa movenza di kung fu poi fa scattare la lama di una molletta da 12 centimetri, l´unico coltello che il codice penale consideri un´arma a tutti gli effetti («La sua naturale destinazione è l´offesa» ha chiosato la Cassazione dopo una lunga e ponderosa diatriba). Ma il ragazzo non si perde in disquisizioni legali: «Tanto, a scatto o serramanico, se mi beccano mi denunciano e basta... E poi mi piace, guarda quant´è bello».
Cesare Pascarella ha dedicato al «saccagno» un vero e proprio sonetto d´amore che inizia così: «Ar mio sopra la lama c´he ritorta/ Cià stampata na lettera con fiore/ Me lo diede Ninetta, che m´è morta/ Quando che me ce mèssi a fa l´amore...». Conclusione: «E se la festa vado a fa bisboccia/Sibbè che c´abbi tanti amichi accanto/ Er mej´amico mio ce l´ho in saccoccia».
Questi ragazzi, quasi certamente, non hanno mai sentito parlare del poeta romanesco ma hanno con le loro lame un rapporto quasi feticistico, le snudano, le accarezzano, le coccolano, le rimirano. Come un´innamorata. Il coltello d´amore, decorato a motivi d´argento in forma di occhio, del resto, era il dono rituale alla fidanzata con l´ammonimento canonico: «Si nun me voi più, spaccheme er core». La versione del terzo millennio è brutalità idiota, ferocia insensata, aggressioni a tradimento con cinque Ceres e tre Campari come carburante. «Che pena, che spreco, così giovani e così imbecilli» depreca Giorgio che scuote la testa mentre guida la Cinquecento rosso fiamma verso casa. Dal portachiavi dondola una piccola, deliziosa scimitarra.