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 2009  aprile 22 Mercoledì calendario

IL PENTITO E LE STRAGI LE NUOVE VERITA’ CHE AGITA L’ANTIMAFIA


Dopo quella del pentito Gaspare Spatuzza, arri­va un’altra «voce di mafia» a mettere in dubbio la verità giudiziaria sulla strage di via D’Amelio. L’attentato in cui morirono il giudice Paolo Bor­sellino e cinque agenti di scor­ta – 19 luglio 1992, 57 giorni dopo l’eliminazione di Giovan­ni Falcone, la moglie France­sca e tre degli uomini che do­vevano proteggerlo – fu rea­lizzato con una Fiat 126 imbot­tita di esplosivo; un’auto ruba­ta, secondo le sue ammissioni d’allora e i processi costruiti anche su quelle parole, da un «balordo» palermitano, tale Salvatore Candura, pregiudica­to per reati contro il patrimo­nio, arrestato dalla polizia nel settembre ”92 per una violen­za carnale.

In carcere Candura confes­sò quasi subito il furto dell’au­to destinata a far saltare in aria Borsellino, e disse che a dargli l’incarico era stato Vin­cenzo Scarantino. Il quale fu arrestato, si pentì, e raccontò molti particolari sulla strage di Via D’Amelio: parlò di una riunione di boss a casa del ma­fioso Calascibetta e tirò in bal­lo gran parte della «cupola» di Cosa Nostra, compreso il capo del mandamento di Santa Ma­ria di Gesù Pietro Aglieri e al­tri «uomini d’onore». Le con­fessioni andarono avanti a sprazzi: confermate, poi ritira­te, quindi ribadite, ma ritenu­te attendibili dai giudici fino alle sentenze di Cassazione.

Oggi però Candura, che a Scarantino faceva da «spalla», si rimangia tutto e dice: il fur­to della 126 non l’ho commes­so io, fu la polizia a farmelo confessare, ma con quella sto­ria non c’entro. L’ha detto du­rante il confronto con Gaspa­re Spatuzza, già capo del man­damento mafioso di Brancac­cio a Palermo, pluriergastola­no legatissimo ai fratelli Giu­seppe e Filippo Graviano, uno dei killer che nel 1993 uccise­ro padre Pino Puglisi. Da alcu­ni mesi Spatuzza, arrestato nel 1997, collabora coi magi­strati e ha rivelato una nuova verità su Via D’Amelio. Smen­tendo proprio Scarantino. Ha detto di aver rubato lui l’auto­bomba nel luglio del ”92 (la stessa per la quale s’erano ac­cusati Candura e Scarantino), portando gli investigatori sul luogo esatto in cui era par­cheggiata. E ha spiegato che con la strage i boss di Santa Maria di Gesù – Aglieri e altri – non c’entrano: fu opera dei Graviano e dei mafiosi di Bran­caccio; lui compreso, sempre scampato a inchieste e proces­si.

Messi faccia a faccia con il nuovo «dichiarante», Candu­ra ha ritrattato e gli ha dato ra­gione, mentre Scarantino ha insistito sulla sua versione. Ma magistrati e investigatori sembrano orientati a dare cre­dito più al nuovo pentito che al vecchio, anche se i suoi ver­bali possono creare non pochi problemi. Perché le rivelazio­ni di Spatuzza aprono vistose crepe sulla ricostruzione giu­diziaria, sancita dalla Cassazio­ne, dell’omicidio Borsellino e non solo. Mettendo in crisi il lavoro svolto negli anni passa­ti dalla Procura e dalle corti d’assise di Caltanissetta, e of­frendo la possibilità di far ria­prire il processo, ad esempio, per il boss Pietro Aglieri, erga­stolano per Via D’Amelio (ecci­dio dal quale era stato scagio­nato, inutilmente, pure dal pentito Giovanni Brusca) ol­tre che per altri delitti.

La valutazione dell’attendi­bilità di Spatuzza non è stata completata dai magistrati di Caltanissetta, mentre quelli di Palermo lo considerano affida­bile ma non decisivo per il contributo fornito alle indagi­ni su altri fatti di mafia per cui sono competenti. Il neo-colla­boratore – sempre rinchiuso in un carcere di massima sicu­rezza, in isolamento ma non più ai rigori del «41 bis» – do­vrà passare il vaglio anche di altre Procure, perché le sue ri­velazioni riguardano diversi episodi. A cominciare dalle stragi organizzate da Cosa No­stra nel 1993 sul continente fra Firenze, Roma e Milano, per le quali sta scontando il carcere a vita.

Per l’autobomba esplosa in via Palestro a Milano (27 lu­glio 1993, cinque morti e 12 fe­riti) ci sarebbe un condannato che a dire di Spatuzza è inno­cente, mentre altri coinvolti nell’attentato non sarebbero nemmeno stati inquisiti. Quel­l’azione doveva av­venire in contem­poranea con le bombe di Roma (San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro, 22 feriti), ma Spa­tuzza racconta che l’obiettivo di Cosa Nostra doveva esse­re un altro: la Casa di Dante, nel rione Trastevere. Ma il piano saltò, a causa della popolare festa de’ noantri in corso nei giorni programmati per l’attentato; c’era il rischio di provocare vit­time, mentre l’obiettivo erano i monumenti e i luoghi d’arte, non le persone.

Per coordinare le diverse in­dagini in corso o da riaprire sulla base delle dichiarazioni di Spatuzza, il procuratore na­zionale antimafia Piero Gras­so ha convocato per oggi nei suoi uffici una riunione con i rappresentanti di tutte le Pro­cure interessate: Caltanisset­ta, Palermo, Milano, Roma, Fi­renze e Reggio Calabria; tra le tante cose raccontate dal neo-pentito, infatti, ci sono pure i commenti dei fratelli Graviano sull’omicidio di due carabinieri avvenuto lungo la Salerno-Reggio, nei pressi di Scilla, nel gennaio 1994. Sarà l’occasione per mettere a con­fronto le diverse interpretazio­ni sulla collaborazione del kil­ler di Cosa Nostra che ha deci­so di parlare, e di smentire al­tri pentiti, dopo aver scontato più di undici anni di galera.