Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  aprile 22 Mercoledì calendario

E I CORSARI RICICLANO IL LORO BOTTINO GRAZIE AI BROKER DELLA CITY LONDINESE


Londra. «Il denaro di per sè non esiste, il denaro non si crea nè si distrugge. Semplicemente si trasferisce, da un’istituzione all’altra. Magicamente». Non lesinando sulla prosaica poesia del turbo-capitalismo, così Michael Douglas alias Gordon Gekko istruiva l’ancora acerbo Bud Fox sulla natura dei soldi. Ma ci sono anche soldi che esistono, vengono consegnati e contati nonchè trasferiti. Sono quelli dei pirati che operano nel Corno d’Africa e che, secondo un’inchiesta pubblicata ieri dall’Independent riciclerebbero il giro d’affari dei sequestri, circa 80 milioni di dollari, attraverso istituzioni finanziarie compiacenti di Abu Dhabi e degli Emirati Arabi Uniti. Insomma, addio romanticismo dei galloni d’oro nascosti chissà dove e dell’aneddottica mappa del tesoro, addio spartizioni in sentine buie che odorano di rum, sudore e sigari: nel 2009 anche i pirati hanno i loro broker. E non solo. Sempre stando al quotidiano britannico i pirati sarebbero tutt’altro che sprovveduti avventurieri, ma preparati uomini d’azione che hanno sperimentato la vernice Ar1, inventata da un tedesco che guarda caso vive e lavora negli Emirati Arabi Uniti, che rende le barche invisibili ai radar. Insomma, silenzioso, invisibili e letali: sembra lo slogan dei marines ed invece è il modus operandi dei pirati in versione ventunesimo secolo. Inoltre, il timore maggiore è che una parte cospicua dei riscatti possa terminare nelle mani di terroristi islamici in Somalia, notizia di cui non vi è comunque conferma.

Credibile questo scenario?
Assolutamente sì, se non per un piccolo particolare confermato al Riformista da Nick Ridley, esperto di riciclaggio di denaro sporco presso il tribunale dell’Aja dopo una vita come consulente dello Special Branch di Scotland Yard: «Non lo escludo ma c’è un forte indizio che mi fa ridimensionare la portata del rischio di un’eventuale connection tra pirati ed entità finanziarie a livello di grande riciclaggio o peggio terrorismo internazionale: ovvero, la somma movimentata. Ottanta milioni di dollari, sia per il mondo della grande finanza che per quello del terrorismo globale, sono poco più che noccioline. O, comunque, una cifra per cui non si corre il rischio di essere scoperti, soprattutto se nella pentola di chi opera ci sono progetti di grande dimensione o lungo termine che bollono».

Cosa può esserci dietro questa escalation? Semplice, il processo di destabilizzazione della Somalia. Un paese che rappresenta un altro porto di sbocco per i prodotti petroliferi provenienti dall’entroterra e che, guarda caso, un gigante come la Cina intende ammodernare con la costruzione di infrastrutture, strade, porti e ferrovie. La regola di Wimbledon vuole che non sia importante che a vincere il torneo sia un inglese ma che la manifestazione resti in Inghilterra: dove si combatte la guerra commerciale e geopolitica non importa, sempre guerra rimane. Anche con un pittoresco cotè come questo, l’ideale per appassionare il pubblico e distrarlo da altre cose. Più serie.
Come ad esempio il fatto che la Cina sta scaricando il dollaro: compra rame e altre commodities metalliche in quantità spaventose. Lo State Reserve Bureau sta muovendosi in tal senso per riuscire a districarsi il prima possibile dalla propria dipendenza dal biglietto verde: parliamo di 2 trilioni di dollari di riserve che fmùumo nell’acquisto di metalli invece che nell’immenso mercato del debito Usa, per anni mantenuto in vita proprio dagli acquisti cinesi dettati dagli enormi disavanzi. Una politica dal duplice effetto: dieci volte più di impatto sia sui prezzi delle commodities che sul fronte monetario Usa e in grado di garantire materiale per almeno 50 anni di inftastruftwe in Cina o devo Pechino voglia. Ma c’è anche un’altra ragione: il futuro dell’auto sta nel settore ibrido che necessita di rame.
Insomma, qui si parla di strategie commerciali di strangolamento e monopolio. E Pechino sta comprando anche alluminio, zinco, nickel e materiale rari come il titanio, l’indio - utilizzato nelle pellicole ad alta tecnologia - ,il rodio - fondamentale per i convertitori catalitici e il praseodimio, necessario per la lavorazione del vetro. Altro che pirati e rapimenti, la vecchia strategia della cortina fumogena è sempre valida.