Vittorio Zucconi, la Repubblica 21/4/2009, 21 aprile 2009
STOP AL REGNO DELLE CREDIT CARD COSI’ GLI USA SI SCOPRONO EUROPEI
Deve finire il regno dell´oro di plastica, del tesserino di 8 cm. per 5 che, dalla prima "carta" emessa dal Diners Club nel 1949 per cenare a credito, era divenuta l´arma di distruzione di massa dell´economia domestica e poi nazionale. I consumatori devono disintossicarsi e riscoprire le virtù delle nonne italiane: mai fare il passo più lungo della gamba.
Basta con l´orgia delle cartine, ha ordinato la Casa Bianca e ha spiegato Larry Summers, il cardinale della finanza più ascoltato da Obama. Basta con gli acquisti al grido di "charge it!", me lo carichi sulla carta, che hanno sostenuto la falsa prosperità e divorato il risparmio, ridotto a zero dal luglio del 2004. Sono state "the fool´s gold", la ricchezza dei folli e quella follia sta costando troppo cara.
Ma staccare i 250 milioni di americani che portano in tasca e in borsetta un miliardo e mezzo di carte di credito - almeno cinque a testa in media - sarà come svezzare un neonato dal biberon. Da quasi sessant´anni, appunto dalla prima carta della Diners, due generazioni sono cresciute aggrappate a quel rettangolino plastificato, sprofondando nell´illusione di essere più ricchi di quel che in realtà erano. Vittime della praticità, e della tentazione, fino all´apoteosi del 2002 quando i pagamenti con l´oro di plastica scavalcarono ogni altra forma di pagamento.
Quella che la presidenza Obama e il suo cardinale Summers vogliono fare è dunque più di una riforma, è una rivoluzione del "modo di consumare", dunque di essere, americano. Non ci sarebbero shopping centers sparsi in ogni sobborgo, cattedrali dell´acquisto come quel mostro nato nel Minnesota, il "Mall America", per due decenni il più vasto del pianeta, e non ci sarebbe stato il boom cinese alimentato dalle esportazioni a credito, senza quelle carte che sono il mattone sul quale è stata costruita l´impressione di prosperità. Ma che hanno divorato ogni forma di risparmio e hanno arricchito le società di emissione fino a corrodere anche loro. Come l´American Express, che offre soldi, 300 dollari, ai clienti perché chiudano i loro conti, quegli stessi consumatori ai quali venivano aperti crediti sempre più alti e proposti ghiotti incentivi per sprofondare nei debiti.
Né Summers, né Obama, lo hanno detto, ma il loro è di fatto un invito a diventare un po´ più europei e un po´ meno americani, addirittura un po´ più italiani, uno dei popoli più recalcitranti nell´accettare l´economia dell´"oro di plastica" e ancora affezionati al "libretto" e al risparmio, tra la diffidenza di negozianti a volte preoccupati per la implacabile tracciabilità fiscale del pagamento con carta e la cautela arcigna delle banche. Come il provincialismo linguistico delle banche italiane le avrebbe protette dall´uragano dei prodotti tossici, secondo la celebre frase di Giulio Tremonti, così la taccagneria degli istituti di credito e la tenace cultura dell´economia domestica ha evitato che oggi l´Italia si trovi con un immenso conto non saldabile. Gli americani eravamo noi, secondo Summers, scopriamo adesso con qualche sorpresa, eravamo le formiche del futuro contro le cicale della plastica.
Ma l´oro dei folli non era soltanto vizio. Nella estensione delle linee di credito, nell´offerta martellante di nuove carte che ogni giorno ingombravano le nostre cassette ("Congratulations! Lei è stato preapprovato per una nuova credit card! Metta una firma qui e avrà 15 mila dollari di credito immediato!") c´era la apparente soluzione miracolosa al problema della piattezza dei redditi reali e alla ormai oscena sperequazione fra chi aveva troppo e chi troppo poco, che il vecchio meccanismo delle rate e delle cambiali non riusciva più ad alimentare. La carta, offerta ormai come oggetto di consumo essa stessa, con l´immagine della squadra preferita, la foto dei bambini o del cane, il logo del proprio partito, era il falso moltiplicatore di reddito per i salari fissi, in un´economia che penalizza il lavoro a favore della rendita. E il ponte che collegava lo stipendio all´imperativo morale del consumo era l´ abitazione che generava il margine fra mutuo e valore dell´immobile sul quale tutto il castello del credito tossico era costruito.
Quando il valore nominale della casa si è sgonfiato, milioni di consumatori si sono trovati, fra mutui, ipoteche e linee di credito, con più debiti di quanto la casa valesse.
Incapaci, o non più disposti, a pagare.
E la grande festa è finita. E´ finita per i signori Joe e Jane, che non hanno risparmi ai quali attingere e non hanno spesso più neppure il lavoro. E´ finita per le banche, che nei contratti stampati in caratteri invisibili si riservavano il diritto di alzare a piacere gli interessi fino a livelli da usura, al 20% od oltre, e che potevano permettersi, legalmente, di far pagare questi interessi sul totale del debito, anche se in parte saldato. Chi avesse avuto un debito da mille dollari e avesse versato 999 dollari, avrebbe continuato a vedersi addebitare l´interesse sui mille dollari. E guai al moroso: gli avrebbero distrutto il "rating", il grado di affidabilità finanziaria. In un´economia fondata sul credito, avere un basso punteggio nel "rating" equivale alla morte civile.
Tutto questo dovrebbe finire, vuole la Casa Bianca che promette nuove leggi per impedire le pratiche predatorie dei pirati in grisaglia. Ed esorta il pubblico a ridurre quel mazzo di carte di plastica acquisite per portare ciascuna fino al limite, "max out" nel gergo degli indebitati, facendo di loro schiavi a vita, come i contadini che non riescono mai a rimborsare il padrone. Il numero di debitori non in grado di saldare o di pagare le rate mensili è cresciuto nel 260% fra il 2008 e il 2009 e pullulano le organizzazione che vogliono aiutare i tossici della plastica a riabilitarsi e riscoprire la saggezza della nonna. Quella che esecrava i clienti del macellaio che comperavano il lesso a "libretto", cioè a credito.