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 2009  aprile 21 Martedì calendario

BANCHE WALL STREET HA ANCORA PAURA


A Wall Street e in Europa torna la pau­ra. L’impressione di un ecces­so di ottimismo sui bilanci del­le banche americane e la noti­zia che il Tesoro Usa si prepare­rebbe a entrare in forza nei pac­chetti azionari di alcune di lo­ro hanno prodotto un lunedì di sconforto, che ha visto i principali indici in forte ribas­so, con il Dow Jones sotto del 3,56% le piazze europee ancora più depresse (Milano -4,21%, Francoforte -4,07%), capaci di bruciare ben 133 miliardi di eu­ro in una sola giornata.

A creare ulteriore confusio­ne, ha contribuito l’annuncio di un blog, il Turner Radio Network, secondo cui i primi risultati dello stress test, la ve­rifica dello stato di salute delle 19 principali banche condotta dal Tesoro, darebbero 16 di queste come tecnicamente in­solvibili. Non era vero, come ha subito spiegato il ministero in una robusta smentita. Ma l’equivoco del nome, che ha fatto erroneamente collegare il blog all’ex patron della Cnn Ted Turner, ha per qualche ora amplificato l’andamento nega­tivo del mercato. Il blog sareb­be collegato alla galassia razzi­sta della supremazia bianca.

Ma il vero paradosso è che le preoccupazioni più grandi siano state innescate dal rap­porto trimestrale di Bank of America, che ha segnalato pro­fitti superiori alle aspettative. Allo stesso tempo, però, l’isti­tuto ha messo da parte 13,4 mi­liardi di dollari per coprire eventuali perdite del debito in crescita. Un segnale preciso, per gli investitori, che la bru­sca impennata nei guadagni possa in realtà nascondere pro­blemi più grandi con i titoli tossici. Oltre a Bank of Ameri­ca, scivolata del 16%, la corsa a vendere ha coinvolto anche Ci­tigroup (-19,4%) e JpMorgan, sotto del 4.5%.

Il resto lo ha fatto lo scoop del New York Times, secondo il quale lo staff economico del presidente Obama progetta di convertire quanto prima in azioni ordinarie i prestiti alle 19 banche principali, concessi sui fondi del piano di salvatag­gio da 700 miliardi di dollari. La mossa consentirebbe al go­verno di evitare una nuova ri­chiesta di fondi al Congresso, risparmiandogli una battaglia politica rischiosa e dall’esito in­certo, poiché una semplice ma­novra contabile accrescerebbe la dotazione di capitale degli istituti, dando loro più grandi margini di manovra.

Ma il rovescio della meda­glia sarebbe di esporre nuova­mente la Casa Bianca all’accu­sa d’imporre una nazionalizza­zione di fatto, con il Tesoro probabile azionista di riferi­mento delle maggiori banche americane. Tanto più che ciò comporterebbe scelte contro­verse sui diritti di voto nei bo­ard e anche maggiori rischi per il contribuente.

Il problema su come prose­guire l’operazione di salvatag­gio e riportare a regime il siste­ma bancario si pone perché se­condo le stime governative la dotazione del fondo è scesa quasi al livello di guardia: co­me ha spiegato il New York Ti­mes, una volta onorati gli im­pegni di prestito già presi, ri­marranno circa 135 miliardi di dollari dai 700 iniziali. E’ certo però che le banche ne avranno bisogno di più per assorbire le perdite, derivanti dai titoli im­mobiliari speculativi che le hanno trascinate sull’orlo del fallimento. Nelle previsioni di bilancio, l’indicazione è che po­trebbero essere necessari addi­rittura altri 750 miliardi, per ri­pulire definitivamente il mer­cato. Inoltre Obama ha propo­sto che gli Stati Uniti eroghino 100 miliardi di dollari addizio­nali al Fmi.

I prossimi esborsi del Teso­ro Usa verranno una volta co­nosciuti gli esiti dello stress test, che servirà a stabilire qua­li banche siano in grado di reg­gersi da sole e quali avranno ancora bisogno di nuovi soste­gni pubblici.