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 2009  aprile 20 Lunedì calendario

USA, LA RETROMARCIA GLOBAL SCATTA DAI CALL CENTER INDIANI


Malgrado gli sforzi per dissimulare la loro nazionalità, i passeggeri americani che prenotavano un volo o che protestavano per una valigia smarrita spesso intuivano che il call-center della Delta Airlines o della United rispondeva da migliaia di chilometri di distanza. Tuttavia per anni le multinazionali americane hanno ignorato il fastidio del consumatore, e hanno insistito su quella formula magica per ridurre i costi: l´outsourcing, o delocalizzazione, di tutti i servizi di assistenza alla clientela. Il salario medio è di 500 dollari Usa per l´addetto a un call-center indiano. Cioè un sesto dello stipendio che si paga in America per la stessa mansione.
Quel divario economico sembrava incolmabile. Ma la recessione fa vacillare le certezze più consolidate. In una fase in cui i clienti si fanno rari e preziosi, il loro parere riceve un´attenzione inusitata. E i call center indiani, si scopre, sono tutt´altro che amati dalla clientela del Midwest.
Un´altra motivazione interviene per quelle aziende Usa che devono chiedere aiuti di Stato: prima di licenziare dipendenti americani, è politicamente accorto cominciare a tagliare l´occupazione straniera. Per l´industria dell´outsourcing, uno dei motori del miracolo economico indiano, è un colpo duro. Una delle scene centrali del film Slumdog Millionaire si svolge proprio in un call center di Mumbai, posto di lavoro ambito per una generazione di giovani istruiti e anglofoni.
La Delta Airlines, terza compagnia aerea americana, ha smesso di usare ogni call center indiano dall´inizio dell´anno.
Prenotazioni, biglietti elettronici, reclami per bagagli smarriti, non saranno più gestiti da centri di assistenza situati all´estremità opposta del pianeta. Il chief executive della compagnia, Richard Anderson, ha spiegato la decisione ai dipendenti: «Dai nostri passeggeri abbiamo avuto delle reazioni molto negative. La pratica di usare call center situati in nazioni lontane è decisamente poco gradita, i clienti lamentano di avere difficoltà di comunicazione». Suscita qualche curiosità la tempistica di questo annuncio: i call center indiani sono stati usati per molti anni, durante i quali evidentemente il parere dei suoi passeggeri americani non stava in cima ai pensieri dell´amministratore delegato. Ma i tempi cambiano e le priorità del top management devono adeguarsi molto in fretta. Con aerei che viaggiano semivuoti, soprattutto in prima classe e in business che sono i segmenti di clientela più redditizi, l´insoddisfazione dei passeggeri viene notata. Un esperto nella gestione dell´outsourcing, Ben Trowbridge della società Alsbridge di Dallas, ha dichiarato al Wall Street Journal: « chiaro che avere i call center in India è un risparmio considerevole sui costi. Ma oggi si pone la questione se sia più importante ridurre i costi o migliorare il rapporto con il consumatore». E i call center indiani sono la prima vittima di questo - proclamato - ritorno alla qualità del servizio. United Airlines, numero due del trasporto aereo Usa, conferma la stessa scelta: basta con i call center indiani, si torna a casa, costi quel che costi. La U. S. Airways non esita a chiudere i call center delocalizzati in zone ben più vicine, Guatemala e Salvador. Con la diminuzione del traffico passeggeri e quindi il calo nel volume di chiamate per l´assistenza telefonica, la portavoce Valerie Wunder spiega che «U. S. Airways coglie l´opportunità per concentrare il lavoro negli Stati Uniti». Si affaccia così l´altra motivazione più o meno esplicita: il nazionalismo economico. I leader di tutti i paesi sono unanimi nel condannare il protezionismo, come si è visto all´ultimo vertice del G-20 a Londra. Ma una volta tornati a casa, nell´opinione pubblica trovano un clima sempre più propenso a scaricare sugli altri i costi della crisi. I capi-azienda hanno fiutato l´aria che tira. Se hanno ricevuto aiuti pubblici - o temono che dovranno chiederli in futuro - non vogliono scoprire il fianco alle accuse politiche. Guai se un´azienda Usa che elemosina sussidi dal Congresso si fa scoprire in flagrante delocalizzazione. Il contribuente americano è esasperato dai continui salvataggi di grandi aziende, chiede che i suoi soldi servano a frenare l´emorragìa di posti di lavoro in casa. E ancora una volta l´India si trova nel mirino. La Chrysler, mentre tra la vita e la morte affronta un delicatissimo negoziato a quattro con sindacati metalmeccanici, creditori, Fiat, e Amministrazione Obama, annuncia la chiusura del centro di assistenza dopo-vendita (al telefono e online) che da anni era operativo in India.
Licenziare gli indiani è un passaggio obbligato per convincere i colletti blu di Detroit ad accettare nuovi tagli su salari, pensioni e assistenza sanitaria.