Paolo Griseri, la Repubblica 20/4/2009, 20 aprile 2009
FRESCO: "BENE IL PRESSING DI MARCHIONNE I SINDACATI USA DIFENDONO I PRIVILEGI"
I sindacati americani stanno segando il ramo su cui sono seduti e «per difendere i privilegi dei lavoratori del Michigan rischiano di portare al fallimento le società». Analisi impietosa quella di Paolo Fresco, ex numero due di General Electric, presidente di Fiat dal 1998 al 2003, autore dell´accordo con Gm che portò 4,5 miliardi di euro nelle casse di Fiat e immensi rimorsi a Detroit.
Ingegner Fresco, con i miliardi versati dalla Gm è partita la riscossa di Fiat. Ora quei soldi serviranno a comperare la Chrysler?
«Non è così semplice. I soldi dell´opzione put di Gm sono una parte di una somma complessiva che sfiora i 10 miliardi di euro (ai 4,5 di Detroit vanno sommati i 3 del convertendo delle banche e i 2,5 della vendita della quota Montedison) che consentì a Fiat auto di uscire dalla crisi. Anche grazie all´abilità negoziale di un ad come Marchionne».
Allora Detroit stava per mangiarsi Torino, ora potrebbe succedere il contrario. Perché?
«Perché i grandi produttori degli Usa non hanno risolto il problema del costo del lavoro. Non lo ha risolto completamente nemmeno la Ford».
Ai tempi della sua trattativa con Gm, quel problema c´era?
«Eccome. Solo che si pensava di avere un po´ di tempo davanti per risolverlo. Il fatto è che nel corso dei decenni i lavoratori di Detroit hanno ottenuto una serie di benefit che rendono molto più costoso produrre nel Michigan che in altri Stati degli Usa. Difendere quei privilegi significa condannare le società al fallimento».
Lei li farebbe entrare i sindacati nel cda?
«Non sono contrario a priori. L´esperienza tedesca dimostra che quando i sindacati vengono dalla tua stessa sponda del fiume, diventano molto più ragionevoli».
E accetterebbe di fare l´ad di Fiat e Chrysler insieme?
«Quando si è fuori è troppo facile dare consigli. Marchionne non ne ha bisogno. Capisco che Obama lo voglia alla guida della Chrysler ma starei attento a caricare troppe responsabilità sulle spalle di una stessa persona».
Staccherebbe l´auto dal resto del gruppo per fare un accordo?
«L´avrei già fatto da tempo».
Che cosa c´è dopo l´alleanza con Detroit?
«Quell´alleanza sarebbe un bel passo avanti per Fiat ma non sarebbe comunque la fine del percorso di fusione».
Mancherebbero almeno due milioni di auto prodotte alla soglia dei sei milioni. Dove trovare il nuovo alleato?
«Non credo che sia tanto un problema di numeri quanto di sinergie. Conta soprattutto quanto riesco a produrre e a vendere con la stessa piattaforma perché in quel modo posso realizzare maggiori risparmi. In questo senso va bene l´alleanza, di cui si parla, con Opel che lavora sullo stesso segmento di mercato».
Non vede rischi per l´occupazione in quel caso?
«Li vedo. Ma si tratta di rispondere contemporaneamente a due esigenze: quella di avere una gamma completa, e per questo andrebbe bene un´alleanza con Bmw, e l´esigenza di ridurre i costi, per cui sarebbe ideale la fusione con Opel».
Due ipotesi tedesche. Anche lei trattò con i costruttori della Germania?
«Con Mercedes, all´epoca della trattativa con Gm».
Usò la Mercedes come arma di ricatto?
«Dicemmo a Detroit che se non accettavano il vincolo del put, avevamo un´altra opportunità».