Aldo Grasso, Corriere della sera 20/4/2009, 20 aprile 2009
DALLO SCHERMO NON PUO’ SPARIRE L’INSERZIONISTA
La buona tv ha bisogno di risorse, come tutti gli altri media. La buona tv ha bisogno, un assoluto bisogno, che la politica stia lontana, faccia un passo indietro (come si usa dire da noi, proprio per non farlo mai).
Con un colpo solo Nicolas Sarkozy ha tolto i soldi della pubblicità a France Télévisions e ha messo le reti del Servizio pubblico nelle mani dell’esecutivo: bingo! Di peggio non poteva fare.
Sarkozy sta tentando di eliminare il Servizio pubblico in Francia ma molti intellos parigini sono contenti perché, pur affermando di non guardare mai la tv, sono convinti che la pubblicità rappresenti la vera causa del deterioramento dei media. Così, per contenere il budget, il Servizio pubblico francese si riempie di dibattiti (che piacciono molto agli intellettuali, specie se hanno un libro da presentare), di trasmissioni a basso costo, di programmi di seconda o terza mano.
La buona tv ha bisogno di risorse. Come avevamo anticipato in un precedente Focus, è molto probabile che la Rai abbandoni la piattaforma Sky per passare al digitale terrestre in compagnia di Mediaset e di altre emittenti. Ma il passaggio costringerà la Rai a rinunciare al canone che Sky paga a RaiSat (60 milioni più gli introiti pubblicitari).
Questo significherà la fine di RaiSat, visto che in questo momento è difficile per Viale Mazzini reperire una settantina di milioni sull’unghia. Una tv pubblica senza risorse pubblicitarie rischia di diventare una tv di nicchia, tendenzialmente noiosa e presuntuosamente pedagogizzante.
Incapace, soprattutto, di incidere in quei processi di trasformazione sociale che da cinquant’anni a questa parte l’hanno sempre vista protagonista.
Non considerare poi gli spot come risorsa linguistica è un abbaglio davvero imperdonabile. La pubblicità, con la sua capacità di integrare forme testuali di differenti origini, con la vitale esigenza di restare in contatto con pubblici variegati (anche con quelli giovani, i più disaffezionati ai media generalisti) e di saper interpretare i valori dati per scontati di una comunità nazionale, con il suo appello alle diverse dimensioni dell’esperienza (quella cognitiva, ma anche, e forse soprattutto, quella passionale), si è sempre confermata uno straordinario laboratorio linguistico. Per i giornali, per la tv, per tutti i media.
La buona pubblicità genera prodotti buoni. E i buoni prodotti costringono la pubblicità a migliorarsi.