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 2009  aprile 14 Martedì calendario

BERNINI E I CAPRICCI DEL RITRATTO BAROCCO


«La prima cosa che [Gian Lorenzo] facesse in mar­mo, che haveva anni 10, fu una testa di [Giovanni Battista Santoni vescovo] in Santa Prassede, e perché era sorta una gran fama, e per le accademie e per tutta Roma, di questo putto che superava di tanto la sua età, e dava speranza di dover riu­scire homo capace, Paolo V volle ve­derlo, e fattoselo condurre alla sua presenza gli domandò, come per scherzo, se havesse saputo fargli una testa con la penna, e rispondendogli Gian Lorenzo che dicesse che te­sta voleva il Papa soggiunse: ’Se così è, le sa far tutte’, et ordinatogli che facesse un San Paolo, lo per­fettionò in mezz’ora, con gran franchezza, et ammiratione del Pontefice».
Questo vivido racconto, tra­mandato nel­la puntuale biografia del Baldinuc­ci ( Vita del ca­valier Giovanni Lorenzo Bernini, scul­tore, architetto e pittore, Firenze 1682) può conside­rarsi la radice di quella voca­zione alla carriera di ritrattista di un Gian Lorenzo Bernini ancora bambino che adesso la splendida mostra a Firenze (Museo nazionale del Bargello), documenta in maniera ineccepibile. Curata da Andrea Bacchi, Tommaso Montanari (che all’autori­tratto berniniano dedicò la mostra di Palazzo Barberini a Roma nel 2007), Beatrice Paolozzi Strozzi (che in qua­lità di direttore è la padrona di casa) e Dimitrios Zikos, la mostra non sol­tanto offre una carrellata ineguaglia­bile di ritratti, ma spiega, con straordi­nari accostamenti visivi, la portata ri­voluzionaria nel ritratto berniniano.
Non sono, infatti, documentati soltan­to i ritratti del maestro (che pure risul­tano inarrivabili), ma pure quelli della sua scuola, primo fra tutti quel Giulia­no Finelli (1601-1653) che con il mae­stro ebbe, poi, notevoli contrasti dopo un sodalizio unico che portò alla rea­lizzazione, per esempio, del celeberri­mo gruppo di Apollo e Dafne (Roma, Galleria Borghese), nel quale a Finelli si devono gli straordinari virtuosismi del tronco e delle foglie di alloro. Questa stessa strabiliante abilità, infatti, emer­ge nel Ritratto di Michelangelo Buonar­roti il giovane, proveniente da Casa Buonarroti. L’intreccio disordinato del cordoncino di raso della camicia di se­ta sciolto sul petto fra le asole aperte della camicia di raso e il giustacuore di pelle, è un’inarrivabile prova di virtuo­sismo che può avere un riscontro sol­tanto con i capelli, i baffi ed il pizzetto arruffati del pronipote del grande Mi­chelangelo, accademico della Crusca, e custode geloso dell’eredità di famiglia.
Gli fa eco un altro busto marmoreo che lascia senza parole, ovvero il Ritratto di Francesco Bracciolini proveniente dal Victoria and Albert Museum di Londra,
Le fisionomie dei personaggi interpretati divennero personali, finì il paludamento e una certa rigidità assunse subito un’aura di passato. Una mostra
che chiude la figura in un morbidissi­mo mantello di raso foderato di pellic­cia. Anche qui Giuliano Finelli non ha potuto resistere alla tentazione di rica­mare il pizzo della veste del segretario di Maffeo Barberini (futuro Urbano VIII), cui fanno eco i capelli pettinati a ciocche, i baffi spioventi e, soprattutto, il pizzetto tormentato dai peli ribelli.
Le straordinarie abilità di Giuliano Fi­nelli, però, non sarebbero che sterili prove di virtuosismo se non avessero seguito gli insegnamenti di Bernini il cui percorso di ritrattista è documenta­to
Tre opere di Gian Lorenzo Bernini: a sinistra «Antonio Cepparelli» (1622); al centro «Antonio Coppola» (1612); a destra «Il cardinale François de Sourdis» (1620-1622). fin dall’Autoritratto della collezione Horn, quando l’artista appena quattor­dicenne, si accingeva, in quello stesso 1612, a scolpire il Ritratto di Antonio Coppola, stimato chirurgo fiorentino residente a Roma.
La parabola del maestro è puntual­mente documentata fino al celeberri­mo Ritratto di Costanza Bonarelli, rea­lizzato nel 1638. L’opera, da sola giusti­fica ampiamente il titolo della mostra: I marmi vivi. Nata Piccolomini e sposata a Matteo Bonarelli, uno dei tanti scul­tori impiegati nei cantieri berniniani, Costanza vive di una carnalità prorom­pente mirabilmente fissata nel marmo.
Il punto di partenza per Bernini, infat­ti, era stato Annibale Carracci (1560­1609) frequentato e conosciuto a Ro­ma, la cui lezione, trasposta poi in pie­tra da Gian Lorenzo, è ben esemplifica­ta dalla presenza in mostra del Ritratto di monsignor Giovan Battista Agucchi il cui sguardo vivido tradisce le emozioni della lettera che sta leggendo.
Corredata da un elegante catalogo edito da Giunti, ed impreziosito da un inter­vento di Jennifer Montagu, la mostra propone anche doverosi confronti come grandi ritrattisti dell’epoca: da Algardi a Rubens, da Van Dyck a Velàzquez.