Maurizio Molinari, La stampa 17/4/2009, 17 aprile 2009
OBAMA ALLA GUERRA DEL SUD
Barack Obama inizia in Messico il viaggio sul quale conta per rilanciare i rapporti «su un piano di parità» con il Sudamerica ma l’ostacolo che trova sulla strada è la crescente influenza economica regionale della Cina di Hu Jintao.
L’arrivo a Città del Messico e l’incontro con il presidente Felipe Calderon è stato voluto dalla Casa Bianca per sottolineare la «relazione speciale» che unisce le due nazioni e Daniel Restrepo, consigliere di Obama per l’America Latina, spiega che gli obiettivi del viaggio nell’Emisfero Occidentale sono tre: «Affrontare assieme crisi economica, emergenza climatica e minacce alla sicurezza collettiva».
In concreto significa che Obama cerca con Calderon una convergenza sui temi-chiave dell’approccio alla regione per arrivare con una piattaforma comune al summit delle Americhe, nel fine settimana a Trinidad e Tobago, dove incontrerà anche i leader dei Paesi finora più ostili agli Stati Uniti: Venezuela, Bolivia, Nicaragua ed Ecuador. «Cerchiamo un rapporto paritario con tutti» dice Barack Obama in un’intervista al canale in spagnolo della Cnn, sottolineando come gli Stati Uniti non devono considerarsi «ad un livello diverso» rispetto agli altri partner regionali. «Non dobbiamo dire ad altri Paesi quali strutture politiche devono darsi, l’unica cosa che possono dire è che la forza dell’America è nell’essere una democrazia dove si celebrano periodiche elezioni che obbligano chi è eletto a rendere conto del proprio operato» sottolinea Obama puntando a rilanciare i rapporti con il Sudamerica dopo le tensioni registrate negli anni di George W. Bush, che portarono fra l’altro al fallimento del summit delle Americhe del 2005 in Argentina.
In tale ambito Obama si dice «pronto a parlare del tema dei rapporti con Cuba» - l’unico paese non invitato al summit - ribadendo le aperture fatte nei giorni passati e dicendosi convinto che l’Avana «può recitare un ruolo importante nella crescita dell’intera regione», augurandosi però che Raul Castro «compia passi avanti sul rispetto dei diritti umani».
Ma sulle intenzioni di Barack di rilanciare i legami con il Sudamerica, facendo perno sui rapporti privilegiati con Messico e Brasile, pende l’incognita di una novità: il fattore-Cina. Negli ultimi due anni infatti Pechino è stata abile a sfruttare le tensioni dei singoli Paesi con Washington per guadagnare progressivamente terreno e influenza, come dimostra il fatto che nelle settimane recenti ha collezionato una serie di accordi bilaterali che suggeriscono una tendenza in forte crescita.
In Argentina l’intesa riguarda un prestito di oltre dieci miliardi di dollari che i cinesi hanno dato per incentivare l’acquisto di loro aspirazioni da parte di aziende locali. E’ un tipo di penetrazione commerciale molto aggressivo, già sperimentato in Indonesia e Sud Corea, destinato a fare concorenza innanzitutto alle esportazioni americane. In Brasile invece il governo cinese ha investito dieci miliardi di dollari nella compagnia petrolifera nazionale, lasciando intendere la volontà di attingere alle risorse dell’America Latina per rispondere alla domanda di energia del mercato interno. E’ un modello di investimento che ha già avuto successo in Africa e ripeterlo nel cuore dell’Amazzonia significa volersi insediare economicamente nel cuore dell’area considerata il «cortile di Washington» dalle feluche del Dipartimento di Stato.
In Ecuador e Venezuela invece i finanziamenti cinesi sono andati a progetti di sviluppo, al fine di gettare le basi di una più vasta cooperazione con due delle capitali che hanno rapporti politici più tesi con Washington. Nel caso di Quito i cinesi hanno accettato di pagare con la costruzione di una centrale idroelettrica mentre in Venezuela a firmare il versamento di 12 miliardi di dollari è stato Xi Jinping, vicepresidente, al termine di un incontro con Hugo Chavez durante il quale si è discusso anche l’aumento delle esportazioni di petrolio di Caracas per Pechino, passate negli ultimi mesi da 380 mila a 1 milioni di barili al giorno. «La Repubblica Popolare sta giocando una partita dai tempi lunghi - ha spiegato Gregory Chin, politologo della canadese York University, al New York Times - al fine di gettare le basi economiche di quella che può diventare presto influenza politica». David Rothkopf, ex alto funzionario del Dipartimento del Commercio durante l’amministrazione Clinton, ritiene che la penetrazione cinese avvenga «a colpi di assegni» e sia il «risultato della stagione di crisi coincisa con gli anni di Bush», costituendo dunque una delicata sfida strategica per i piani di Obama.