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 2009  aprile 19 Domenica calendario

Clint Eastwood porta con sé nel cavo della mano un piccolo monocolo per leggere cartelli, orologi, menu: scomodo, ma gli eroi non usano gli occhiali, almeno in pubblico

Clint Eastwood porta con sé nel cavo della mano un piccolo monocolo per leggere cartelli, orologi, menu: scomodo, ma gli eroi non usano gli occhiali, almeno in pubblico. Isabelle Adjani, presidente della Giuria, chiede e ottiene a Cannes due fax, linee telefoniche dirette e un forno a microonde dove scaldare le proteine di sintesi che, insieme con ravanelli e peperoni arrosto, sono tutta la sua dieta. Al bar, davanti a un doppio Bloody Mary, Wim Wenders può abbandonarsi alla ginnastica cervicale che pratica ogni tanto per rilassare la nuca. Victoria Abril si diverte a sfilare con un minuscolo abito nero che, dietro, è aperto dall’alto in basso per mostrare le sue natiche rotonde e muscolose. Gilles Jacob, da trent’anni a capo del Festival di Cannes (prima come direttore e poi come presidente), ipocondriaco famoso (in viaggio lo segue una valigia di medicine), detto «cintura & bretelle» per la lodata prudenza, pubblica dall’editore Laffont di Parigi un libro di memorie. In quasi quattrocento pagine, si intrecciano vita personale e vita professionale: dall’infanzia di bambino ebreo costretto sotto l’occupazione nazista a nascondersi con il fratello in un seminario cattolico, alla prima giovinezza di grande commerciante nell’azienda famigliare e di critico di cinema in proprio, all’approdo a Cannes. Jacob, ammiratore appassionato di Fellini e Rossellini, signore del nuovo Palazzo del cinema inaugurato nel 1983, racconta brillantemente il Festival: premi, amici, film mancati e film conquistati, giurie ribelli, scontri burocratici, incidenti e trionfi. Ma sono interessanti soprattutto le star, le piccole storie rivelatrici d’un carattere, d’una vanità. Una volta Orson Welles, dopo aver parlato dalla sua stanza d’albergo con la compagna Oja Kodar a Los Angeles, non riattaccò il telefono: semplicemente, posò il ricevitore sul comodino, restando così in linea per tre giorni ininterrotti. Gérard Depardieu «è diventato un’impresa: vigneti, petrolio, restaurant, Cuba, Romania, Russia... Non è soltanto l’abuso di alcol, che del resto a modo suo l’attore controlla, passando dall’essere enorme a essere magro. Sono gli affari: l’uomo che può interpretare qualsiasi ruolo si diverte ancora a recitare?». La particella nobiliare tedesca «von» era falsa, inventata sia da von Stroheim che da von Sternberg. Che vengano dall’Italia, dagli Stati Uniti o anche dalla Francia, le pressioni per prendere un film al festival «mi rendono orripilato». Capitò, pare, con La vita è bella di Roberto Benigni: «La prima metà mi pareva migliore rispetto ai film precedenti di Benigni. Ma la seconda parte poneva problemi: molti, nella Commissione di selezione, erano feriti dalla mescolanza Shoah-comicità. Si può ridere di tutto? Altri lo consideravano un film sulla bontà... Dovevo stare attento a non rifiutare La vita è bella per ragioni sbagliate. Jean Labadie, il coproduttore, mi avvisò: gli italiani ne farebbero un dramma nazionale. Altro che ne farebbero, ne facevano! Weinstein, che aveva comprato il film per gli Stati Uniti, non mi contattò ma mi fece avere tutti i suoi numeri di telefono. Depardieu, che girava un Asterix appunto con Benigni, intervenne a favore. Certo, Benigni non aveva chiesto nessun intervento, rilavorava sul film... Alla fine dissi di sì, in concorso». Più brusche le cose con l’americano Irwin Winkler, produttore di Goodfellas di Scorsese, padre di un figlio che aveva diretto il suo primo film, rifiutato da Cannes: niente figlio, niente Scorsese. «La favola illustra i rapporti di forza stabilitisi con gli Studios americani, il più delle volte a svantaggio del festival». Il luogo dove si tengono le riunioni riservate della giurìa, sempre inseguito e immaginato dai cronisti su un’isola, un atollo, una roccia, è la Villa Domergue sulle colline. Lars von Trier è davvero estremamente fragile: «Angosce autentiche tanto da doversi stendere, claustrofobie che mutavano in un supplizio ogni spostamento, qualsiasi fosse il mezzo di trasporto. Persino disteso in auto, paura di non poter fuggire dall’autostrada in caso di necessità...». Battute: «Ogni critico è un mancato direttore di Festival, un inconsapevole giurato, un regista frustrato»; «Una manifestazione come il Festival non si guida come un’auto da corsa»; «Se ci sono spesso a Cannes gli stessi registi, è perché sono loro a fare i film più belli». Il libro di ricordi di Gilles Jacob ha il titolo La vie passera comme un rêve, «La vita passerà come un sogno».