Alessandro Barbera, La Stampa 19/4/2009, 19 aprile 2009
Segretario Bonanni, Fiat e Chrysler sembrano ormai vicinissime all’accordo. Che ne pensa il leader della Cisl? «Sono anni che ci diciamo favorevoli ad un grande progetto di fusione di respiro mondiale
Segretario Bonanni, Fiat e Chrysler sembrano ormai vicinissime all’accordo. Che ne pensa il leader della Cisl? «Sono anni che ci diciamo favorevoli ad un grande progetto di fusione di respiro mondiale. Allora ci fu detto che era bene aspettare di aver completato il risanamento. Ora il momento è giusto: giusto soprattutto per tentare finalmente di attaccare coreani e giapponesi sul mercato americano». Da anni la Cisl chiede però di partecipare al governo delle imprese sul modello tedesco. La legge italiana invece impedisce ai lavoratori di avere quote collettive come quella che i dipendenti americani si apprestano ad acquisire nella nuova Chrysler. Né il fondo pensione dei lavoratori metalmeccanici è sufficientemente ricco da potersi permettere investimenti di quel tipo. Da sindacalista non prova un po’ di invidia? «Non posso negare che se quel criterio fosse applicato anche in Italia la considererei una rivoluzione culturale, la fine di un tabù. Dico di più: cambierebbero i connotati del capitalismo italiano». Che intende dire? «Molti anni fa Enrico Mattei tentò per l’Eni quella strada, ma trovò sul suo percorso due opposizioni: degli imprenditori e dell’allora Partito Comunista. Per molto tempo a sinistra si è creduto che il salario del lavoratore avesse un odore e un valore diverso da quello del capitalista. Non a caso il tentativo di introdurre novità legislative sulla partecipazione dei lavoratori al capitale delle imprese non è mai arrivato da esponenti della sinistra: lo hanno fatto solo persone come Tiziano Treu, Gianfranco Fini o Pierferdinando Casini». Un operaio le potrebbe obiettare che la cogestione significherebbe anche condividere responsabilità, dunque lo sciopero diventerebbe un’arma contro sé stessi. Lei pensa che i lavoratori italiani sarebbero pronti ad un passo del genere? «Il conflitto di classe come lo abbiamo conosciuto nel ventesimo secolo non esiste più. Oggi il datore di lavoro non è più l’unico soggetto che decide delle sorti del lavoratore. E lo sciopero non può essere più l’unico strumento a disposizione per difendere il posto di lavoro e il salario. Oggi il salario è anzitutto minacciato dalla globalizzazione, e dal dumping sociale dei Paesi più poveri». Sembra però che la Cgil sia pronta a fare un’apertura su questo tema. Che ne pensa? «Se lo facesse lo saluterei come un evento epocale, viste le premesse culturali di cui parlavo prima». La prossima settimana una delegazione dei sindacati Fiat vedrà i colleghi americani. Qual è il motivo dell’incontro? «Vogliamo capire in che condizioni versa la loro impresa. Un normale scambio di vedute nell’interesse nostro e loro». Fra i lavoratori Fiat c’è chi teme che l’accordo non sarà un vantaggio. Che anzi, l’accordo con Chrysler metta a rischio la produzione degli stabilimenti italiani, soprattutto quelli del centro-sud. «Non credo che ciò avverrà. Anzi, penso invece che se l’accordo funzionerà ci sarà più stabilità occupazionale per tutti. Certo i rischi non mancano, ma di solito sono i progetti fondati a dare certezze. Non a caso, la Fim ha chiesto ai vertici dell’azienda impegni precisi a difesa dell’occupazione in tutti gli stabilimenti italiani. E comunque, probabilmente si correrebbero molti più rischi rimanendo inermi di fronte alla potenza di fuoco dei concorrenti in un mercato sempre più difficile e globalizzato».