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 2009  aprile 19 Domenica calendario

MAURIZIO MOLINARI

CORRISPONDENTE DA NEW YORK
Chrysler sembra prossima all’accordo con i sindacati dell’auto sul piano di ristrutturazione e Gm per salvarsi progetta di applicare la stessa ricetta, ma su scala più vasta. I progressi nelle trattative dei due colossi di Detroit appaiono legati, anche se Chrysler sta facendo da battistrada essendo oramai arrivata ad appena 11 giorni dalla data limite fissata dal governo federale per siglare l’alleanza con Fiat e scongiurare così l’inizio della procedura della bancarotta che potrebbe costare il posto a oltre 180 mila dipendenti. Sono fonti della United Auto Workers (Uaw) a far trapelare che «l’accordo con Chrysler si sta avvicinando» in forza di un’intesa che prevede l’assegnazione a un trust del sindacato, denominato «Voluntary Emplyee Beneficiary Association», del 20 per cento delle quote dell’azienda in cambio dei 10,6 miliardi di obblighi sanitari che sono ad oggi dovuti ai dipendenti.
In questa maniera il sindacato diventerà uno dei principali azionisti di Chrysler, assieme a Fiat ed alla task force del governo federale, inaugurando un nuovo modello di assetto societario. L’ipotesi di un tale accordo era già affiorata nei giorni scorsi ma adesso alla Uaw lo ritengono «prossimo alla conclusione», anche se resta da appurare quali saranno poi le scelte dei sindacati delle fabbriche canadesi (Caw).
Lo scambio debiti-per-azioni è anche il perno del piano a cui sta lavorando General Motors, secondo indiscrezioni pubblicate dal sito di Automotive News che prevedono una conversione in quote di 48 miliardi di dollari che la casa aumobilistica deve ai sindacati ed ai titolari di obbligazioni. Il ministero del Tesoro da parte sua ha fatto sapere di essere disposto a convertire in azioni anche i 13,4 miliardi di prestiti versati con il denaro dei contribuenti. Si tratterebbe dunque di una complessiva trasformazione dei debiti in azioni. Quella che potrebbe essere la soluzione del rebus Gm arriva dunque sulle orme di quanto sta avvenendo a Chrysler al termine di settimane di incontri con la task force governativa guidata da Steve Rattner e con i sindacati della Uaw.
«Quello di Gm è un piano che pevede importanti concessioni da parte dei sindacati, superiori a quelle di cui finora si era parlato e se ciò avviene - spiega Peter Kaufman, presidente della banca di investimento Gordian Group - è perché i lavoratori temono che senza intesa la situazione potrebbe diventare assai peggiore» portando all’inizio della procedura della bancarotta.
Se tali indiscrezioni dovessero essere confermate significherebbe il superamento dello stallo dei negoziati fra Gm e sindacati dell’auto che risale alla metà di febbraio e Fritz Henderson, che ha sostituito Rick Wagoner alla guida di General Motors, potrebbe iniziare a mettere nero su bianco il piano di tagli destinato ad essere presentato al governo entro la prevista scadenza del 1 giugno.
Se Henderson non forza i tempi è perché è consapevole che spetta a Chryler finire prima: «Abbiamo di fronte un sindacato che sta negoziando con due aziende, una delle quali ha la scadenza il primo maggio e l’altra il primo giugno». Avere più tempo a disposizione può risultare a Henderson per dedicarsi a sciogliere il nodo dei titolari di obbligazioni per un valore totale di 27,5 miliardi di dollari ai quali pensa di offrire in cambio una piattaforma iniziale di 9,2 miliardi, in debiti e in azioni, che potrebbe essere allargata su richiesta del governo.
Ai progressi sul fronte della trattativa con i sindacati corrisponde il perdurante silenzio da parte delle banche creditrici. Anche in questo caso è Chrysler a fare da battistrada, aspettando la consegna da parte delle banche alla task force auto delle controproposte sul negoziato in corso per stabilire la sorte dei 7 miliardi di dollari di debiti.
L’industria dell’auto americana, e di conseguenza mondiale, è alla vigilia di una rivoluzione. Quanto sta avvenendo a Detroit, dopo la relazione della task force nominata dal presidente Obama su quella che è stata un tempo l’industria Usa per eccellenza, è destinato a sconvolgere l’assetto di un settore che si è retto per un lungo tratto del Novecento su uno schema consolidato. Con la trasformazione radicale di General Motors e Chrysler, il sistema di Detroit cambia volto e dimensioni.
La General Motors sta per subire uno smembramento, dettato dall’insostenibilità dell’indebitamento aziendale di fronte alla caduta del mercato, che scomporrà i suoi marchi e le sue attività, distinguendo le parti sane da quelle irrimediabilmente malate, in modo da sottoporle a una revisione completa e poi, probabilmente, a un riaccorpamento. Si affaccia la possibilità, presentata ieri da Automotive News, che i marchi Gm potranno rientrare in un negoziato da cui potrebbe uscire un nuovo grande gruppo, da realizzarsi con Fiat e Chrysler. Saranno i prossimi mesi a verificare il fondamento di questa prospettiva, in cui resta l’incognita costituita dalla Ford, l’unica superstite delle «Big Three» di una volta, che non potrà non reagire anch’essa alla riorganizzazione in atto. Per il momento, Sergio Marchonne deve chiudere la delicata partita che sta giocando in queste settimane su più fronti. Se l’operazione chirurgica più ardua è quella che deve compiersi sul corpo della Gm, con i suoi 250 mila dipendenti e un indotto di proporzioni ancora mastodontiche, è la trattativa in corso tra Fiat e Chrysler a mettere a nudo per intero i punti critici del sistema dell’auto americano, i nodi che deve sciogliere per la propria sopravvivenza.
Marchionne si è finora dovuto muovere su due versanti contemporaneamente per definire le condizioni che renderanno possibile la stipula dell’alleanza con la Fiat. Da un lato, occorre fronteggiare la mobilitazione dei detentori dei corporate bonds di Chrysler, refrattari ad accettare a una caduta verticale dei titoli nelle loro mani. Su questo negoziato, che naturalmente chiama in causa il ruolo delle banche, il governo può far pesare la sua influenza. Dall’altro lato, negli ultimi giorni si è surriscaldato il confronto col sindacato: rivolgendosi alla federazione dei lavoratori dell’auto del Canada (dove sono ubicati impianti produttivi Chrysler), Marchionne ha detto che l’alleanza non andrà in porto, se tale organizzazione non accetterà una netta riduzione delle prerogative acquisite.
Non è un caso che la presa di posizione dell’amministratore delegato Fiat abbia suscitato il plauso del senatore repubblicano Bob Corker del Tennessee, il critico più duro degli aiuti concessi dal parlamento americano alla fine dell’anno scorso. Lo stato del Tennesse ospita alcune delle aree dove si sono insediate le fabbriche d’auto di produttori giapponesi ed europei, in cui si applicano paghe e normative di lavoro imparagonabili a quelle in vigore a Detroit. Marchionne oggi domanda alla United Automobile Workers, il sindacato dell’automobile, di disporsi a un passo gravoso, riducendo le tutele e le garanzie introdotte nelle fabbriche di Detroit dal 1937 in avanti, da quando cioè si era imposto il metodo della contrattazione collettiva dopo uno dei più aspri e massicci conflitti del lavoro della storia Usa.
Sarebbe la prima mossa verso il superamento del divario che separa in due il mondo dell’auto, opponendo i territori di vecchia industrializzazione come il Michigan agli stati dove l’industrializzazione è un fenomeno più recente, come appunto il Tennessee. La Uaw si trova così dinanzi al dilemma di scambiare livelli salariali, coperture assistenziali e pensionistiche con la speranza del mantenimento del posto di lavoro. chiaro, tuttavia, che il sindacato ha bisogno per contraccambio anche di un riconoscimento simbolico, quale potrebbe essere una consistente partecipazione al capitale d’impresa.
Se Marchionne otterrà le condizioni richieste, allora l’alleanza potrà decollare e si potrà mettere mano a quella riorganizzazione totale dell’automotive americano cui la Chrysler deve fare da apripista. L’intesa Fiat-Chrysler sta dunque diventando la chiave di volta per ridisegnare da cima a fondo il sistema dell’auto. Può darsi che il lavorìo concitato di queste settimane metta capo a un nuovo grande gruppo su scala globale, sull’onda della fusione e dell’ibridazione di due esperienze industriali, l’europea e l’americana. Un gruppo effettivamente multinazionale, radicato in Usa come in Europa e in America Latina, con una presenza di mercato vasta e integrata, forte di un’estesa gamma di prodotto. Se ciò si verificherà, si potrebbe davvero dire che di lì incomincia la nuova storia industriale del Ventunesimo secolo.


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